Welcome!

Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

mercoledì 3 dicembre 2008

No comunque.

C'è da dire che dio è un infimo pezzente di basso livello. Stronzo.
Ah, un'altra cosa. Auguri Injo. Auguri Mattia.

martedì 2 dicembre 2008

Felicità

Ne parlava Cicerone e ne hanno parlato tutti, i potenti e i poveri di ogni popolo si sono sempre arrovellati intorno al problema della Felicità; in cosa può consistere? Dove si trova, come si ottiene? E' soggettiva o universale? La domanda suscita infinite contrapposizioni, dilemmi continui a cui nessuno riesce mai a dare risposta.
No, probabilmente non ci riuscirò nemmeno io; magari fosse possibile. La felicità d'altronde è un campo così vasto che nessuno di noi esplorerà mai a fondo, svelandone tutti i segreti e le vie; una vita di certo non basterà mai per un'impresa così imponente e ardua.
Al momento è più facile analizzare il comportamento, o come farebbe Machiavelli, il mio comportamento; direi di riscontrarmi molto più nella teoria Epicurea, il materialismo per antonomasia, il più rinomato fra gli antichi e diffuso anche frai moderni.
Probabilmente perché è più facile desiderare il semplice piacere che impegnarsi in un qualche scopo, più o meno utile al prossimo, ma sicuramente più gratificante per il proprio animo.
D'altronde, in quello specchio dei pensieri che è la nostra coscienza, si fa sempre più fatica a vedere una nitida immagine della ragione; forse è l'egoismo che cautamente si insinua e ci consuma dall'interno, camuffandosi da mistica realtà? Non saprei, ma credo che sia meglio stare attenti, perchè l'unico modo che abbiamo per rimanere noi stessi è essere ragionevoli in quanto tali e non semplici soggetti della triste verità che ci comunicano ogni giorno.
Potrebbe essere come diceva Lucrezio, la felicità risiede nella filosofia, nello studio, nell'apprendimento, nell'eterna glorificazione della mente. Ma anche qui mi perdo, non saprei dove annodare il filo del mio pensiero con quello di questa teoria.

Sono infinite opzioni, e non ho ne voglia ne tempo di discuterle tutte. Forse col tempo mi saranno più chiare; di una cosa sola sono certo: Qualunque essa sia, desidero la felicità, perché non ne posso più.

lunedì 24 novembre 2008

Amicizia o forse no

Devo scrivere assolutamente, prima che dalla mia bocca o dalle mie mani esca fuori qualcosa di insensato. Devo proteggermi da eventuali vendette, ripicche e atteggiamenti controproducenti.
Quanto può influenzare un uomo un generico saggio breve, ordinato da una generica professoressa per un generico giorno? Generalmente poco, molto poco.
Cosa succede tuttavia se al posto di un generico argomento prendiamo in considerazione l'amicizia? Ancora niente, direte voi. Un normalissimo saggio breve su un normalissimo rapporto umano.
No, non è così, almeno non nel mio caso.
Mi ritrovo ancora confuso e disperso, libero di vagare nei miei pensieri alla ricerca di una soluzione netta e definita di cui non conosco l'ubicazione. Ho perso il TomTom mentale, perciò mi ritrovo a un bivio sconosciuto, per proseguire su vie ancora più tetre e ignote.
Chi è un amico? Non lo so, in linea di massima direi qualcuno con cui condividi. Nella vita reale lo so, non è così: ci sono gli amici che se incontri per strada non li saluti, gli amici per modo di dire. Poi ci sono gli amici che vedi una volta all'anno di cui facilmente ti scordi il nome; ci sono gli amici veri, quelli indimenticabili, e quelli che credevi tali fino al giorno prima. Quelli che non scorderai mai, quelli che forse avresti fatto meglio a farlo.

Reduce da una giornata non troppo stressante, mi dedico con più tranquillità all'argomento. Come un topo alla ricerca del formaggio, voglio anche io rosicchiare una parte di verità; e se non ne esiste nemmeno una assoluta, valida per tutti noi, che almeno io possa trovare quella risposta alla domanda.
Ma mi rendo conto di avvicinarmi quasi come asintoto a una definizione del problema, sempre più vicino ma impalpabile, accanto alla domanda ma pur sempre perso nel mio labirinto della mente.

Avere un amico non basta. Si è squarciati dall'interno dalle sfumature che questa esperienza può assumere, dalla variabilità umana che è così vasta e ampia da non permettere mai a due sentimenti di riscontrarsi ugualmente; eppure siamo soliti raggruppare emozioni così differenti, unirle in "parole" da glossario che le squadrino, le costringano in un contenitore mentre strabordano e straripano dagli argini, dai limiti che Noi imponiamo ad esse.
Filosofia, letteratura, matematica, così come tutte le arti e le scienze da sempre sono state influenzate dal pensiero Aristotelico del bianco e del nero, dell'impossibilità del coesistere; così non esiste il grigio, ma solo gli estremi, così non c'è una via di mezzo, ma solo due strade che sono così distanti fra loro.

La storia tuttavia ha dato ragione al grigio. Chi è stato a un estremo della società, della vita, del pensiero e dell'azione è sempre stato confinato e poi sconfitto. Essere equi dovrebbe essere il fine principale della nostra vita.

Perciò arrivo a domandarmi perché abbiamo un lessico così limitato per esprimere concetti così vasti e numerosi. Tre parole per infiniti sentimenti. Amore, Amicizia e Odio. No, non è così. Non è ne bianco ne nero, almeno non sempre.
Col coraggio e la responsabilità delle nostre azioni dobbiamo affrontare questa realtà, questi confini così netti che in natura non esistono. Il "Generico" è un nemico da sconfiggere, perché solo nella particolarità risiede il nostro reale pensiero e la nostra vera esperienza.

Il primo punto della mia discussione, della mia analisi è chiaro: la domanda risiede nel linguaggio ed esso, limitato dalle regole della conformità e dell'uniformato universo, ci costringe a comportarci come fotocopie senza anima, sostenute solo dalla standardizzazione dei nostri caratteri, corrispondenti o a modelli predefiniti o a concetti preesistenti, ideati da altri, a cui noi arriviamo ad appartenere grazie a infantili giochi mentali; chi si distacca della folla non è forse un semplice isolato? E ciò non vale solo per l'amicizia, come potrebbe sembrare, ma anche per tutti i comportamenti umani.

Noi siamo solo ciò che gli altri ci attribuiscono. Ormai non è più essere; in questa società odierna e occidentale, è solo apparire.

A questo punto, mi ritengo un po' più illuminato del solito, anche se probabilmente per voi tutto ciò è solo un folle ragionamento senza capo ne coda. Non nel mio cervello ad ogni modo, perciò cercherò di farvi capire il più possibile dei miei ragionamenti astrusi e complicati.

Passo alla risposta che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è 42, ma c'è e se ne può discutere. Comunque, procediamo gradualmente.
La domanda è limitata, così come lo è il nostro carattere, per via delle regole codificate e canoniche che influenzano la nostra vita e il nostro parlare; siamo arginati e costretti a esprimerci non al meglio, ma convenzionalmente.
La risposta dunque sarà altrettanto limitata? No, perché l'analisi interiore non è confinata dalle parole. Quello che sentiamo può venire espresso e, se ci si concentra sull'analisi dei sentimenti e non su quella delle parole, si potranno ottenere molte più soluzioni.

Sì, credo di esserci. Credo di aver illuminato il bivio, di sapere dove conducono le due vie che mi si presentano di fronte.
Da una parte c'è il pragmatismo, l'adattamento, il cambiare secondo ciò che più ci conviene, in modo da essere attuali e fortunati, sorretti dal caso.
Dall'altra parte c'è la riflessione, quella personale, l'ingegnarsi per capirsi piuttosto che l'ingegnarsi per apparire meglio.

Quale via bisogna percorrere? Chi lo sa, non lo sapremo mai. La mia scelta? La state leggendo.

lunedì 10 novembre 2008

Angoscia, Fretta, Rabbia

L'angosciante incombere del tempo, il ritmo martellante della giornata, lo scandirsi imperturbabile delle ore, dei minuti, dei secondi. Rapidi, devastanti, gli attimi si susseguono immediati, non hai più nemmeno un momento per respirare. Non hai tempo. Non c'è più nulla da fare. Sei in ritardo, fuggi, scappi, cerchi una soluzione ma ormai è troppo, troppo tardi.
Cadi nel baratro dell'interminabile avanzata dei secondi, la marcia degli anni che ormai ti trafigge.
Sei sconfitto.
Hai perso.
Carpe diem.

venerdì 31 ottobre 2008

La foto

Tutto nasceva da uno scorcio, da un'immagine, da una foto che gli era rimasta impressa sulla retina. Quei colori sgargianti, il contrasto, la bellezza. Al centro di tutto lo straordinario quadro, il suo splendore si esprimeva in tutta la sua grandezza, maestoso, vivace, pieno di passione.
Una trasformazione in un'opera d'arte, era quello il risultato che ora aveva. Da quella semplice fotografia nasceva ora un lavoro magnifico, capace di esprimere ogni cosa, di chiarire tutto e illuminare nulla.
Sarebbe bastato mostrarle questo; ma la paura, la soggezione, la modestia, l'umiltà, il dolore si ponevano prima. Troppa passione sprecata.
E così, quell'immagine tanto rimirata dal suo autore, rimaneva nel cassetto, chiusa e all'oscuro di tutto, esclusa dal mondo dei colori e della vita, dal mondo di Lei.
Nessuno vide più la foto.
Lui non vide più Lei.

giovedì 16 ottobre 2008

Sempre più blu

Passa il tempo, passano gli anni e ricordo ancora i miei post sulla ragione, sulla vita, riflessioni filosofiche azzardate e del tutto vane, dimenticate ora nei meandri del mio blog, chiusi in uno scrigno nella mia mente, isolati in attesa di tempi migliori, di momenti in cui ricordare tanta diffidenza con felicità, contenti della situazione attuale, senza combattere con i fantasmi del passato e l'incombere del presente. Per ora, mi limito a rifugiarmi dietro le parole per andare avanti.

Mi ritrovo ad ascoltare Rino, l'eroe Rino.
La sensazione è sempre quella di fare da spettatori a un mondo di giocatori scarsi, e non intendo specificare un caso in particolare, tutta la vita è così. Politici ingannevoli che si giocano il destino della terra a dadi, azionisti falliti che cedono il passo alla recessione economica, amici che si estraniano, sconosciuti estroversi, teatranti esuberanti, un nulla di fatto nelle mani e il resto che ti circonda.
Tutti sono diversi. È un vantaggio scrivono sui libri di storia, te lo insegnano a educazione civica, te lo ripetono i parenti.
Eppure a volte credo che sarebbe meglio un mondo di cloni, almeno saprei cosa aspettarmi. La mossa del vicino, il pensiero dell'ambasciatore, la tecnica del malvagio o il gioco dell'amore; invece mi ritrovo ad ascoltare "Ma il cielo è sempre più blu", contro quella società che non sopporto.

Per una volta desidero cambiare ogni cosa, rimodellare l'universo, cambiarlo secondo la mia volontà. E non per governare meglio il mondo, ma per renderlo più facile, dannatamente più semplice. E se c'è un Dio lassù, sarà anche perfetto, ma in quanto a realizzazione universale fa schifo.

domenica 12 ottobre 2008

Scrivere, o meglio, Sopravvivere


Scrivere. L'atto di comunicare, di esternare i propri pensieri, attraverso la penna o, in questo caso, la tastiera, mi ha sempre confortato, reso sicuro quasi. Lo scorrere fluido delle parole, una dopo l'altra, idea dopo idea, fatto dopo fatto, fino a trasferire in un articolo un sentimento, un'opinione. Condividere problemi, dilemmi o soluzioni e alternative, una simbiosi fra te e chiunque.
E' possibile che nella propria mente si abbia già un destinatario, già. Qualcuno che si speri legga il post, ci pensi su; magari che ti comprenda anche.
Io non mi sono mai fermato al lettore ideale, per mia fortuna e vostra tortura. Adorerei soffermarmi sui dettagli della mia vicenda interiore, ma una pagina con infinite volte ripetuto Noia, Tristezza, Sconforto e Disorientamento, non necessariamente in questo preciso ordine, sarebbe molto noiosa.

Scrivere, ovvero Sopravvivere. Devo dire che il poggiare le mie mani sui tasti è sempre molto affascinante, vedere come il cervello si esprima, quasi da sé, è alquanto interessante. Anche l'essere protetti da numerosi chilometri di cavi telefonici può rasserenare, riparandoti dal primo impatto che si sa, è sempre il peggiore. Dolci melodie si compongono con i caratteri e probabilmente un lettore medio non arriverebbe nemmeno a leggere fin qui. Ma tu ci sei, tanto vale continuare.

Numerosi sentimenti, tristi o felici, alla fine si accumulano dentro di noi, o almeno, dentro di me. Ho bisogno, come in un legame covalente, di mettere in comune i miei elettroni-sentimenti con qualche altra atoma pia, che leggendo quantomeno prenda conoscenza della mia situazione.
Se ad esempio leggesse i miei articoli la professoressa di italiano:
  1. Mi alzerebbe il voto in italiano (ndr, richiede senso dell'umorismo)
  2. Mi interrogherebbe di meno (ndr, richiede culo)
Ma sono solamente ipotesi, che difficilmente verificherò mai. Piuttosto posso pensare a cosa farebbe un mio amico, magari un compagno di classe, leggendo i miei meri articoli sull'esistenza o i miei racconti pseudo realisti:
  1. Comincerebbe a cambiare amicizie
  2. Si domanderebbe come può un uomo del genere avere ancora la sufficienza in filosofia
  3. Si convertirebbe al Buddhismo (per sfizio. Pura constatazione personale)
Di cui comunque non vedo risvolti positivi, tranne la possibilità di stringere amicizia con qualche monaco tibetano.

Parola dopo parola, mi ritrovo qui, a concludere un breve ma serio, triste ma comico articolo sulla mia vita da blogger, scrittore o recensore di diario, come preferite.
L'importante è il verificarsi continuo della legge principale della penna: Scrivere è Sopravvivere.
E così, scrivo e vivo, grazie a quei link che vagano per il web, nutrito da fantasiose analisi su improbabili lettori.

venerdì 26 settembre 2008

Il Problema

Qual'è il dilemma che assilla tutti noi, blogger più (guardate altrove) o meno (eccomi) esperti nello scrivere racconti, brani, articoli e post? Nelle mie continue analisi psichiche sull'origine delle cause, nel mio infinito processo di analisi riguardo ogni mio singolo pensiero, sono giunto ad una strana seppur originale conclusione.
Il problema è comunicare. Ogni post ha la finalità (celata o palesemente evidente) di inviare ai lettori un messaggio, non importa cosa riguardi: siamo tutti tramandatori di opinioni, elaborate nei nostri cervelli e dettate alle nostre mani per essere digitate su una tastiera.
Brevi o lunghi che siano, gli articoli contengono le idee, solide o momentanee, dell'autore, esposte e accuratamente inserite all'interno di periodi complessi e frasi semplici.
Per questo motivo, oggi mi limito a non dirvi null'altro che già non sappiate, o almeno ci provo. Già, una prova riuscita male in quanto ho, ad ogni modo, divulgato il mio punto di vista sull'argomento.
Ma non importa, basta saperlo.

sabato 20 settembre 2008

Gocce di Ferro

Quel pomeriggio le nuvole non accennavano a diradarsi, il cielo era cupo e incominciava a essere difficile scorgere l'orizzonte. La nebbia e la foschia non permettevano di vedere nulla oltre i venti metri, così come la pioggia forte e fitta disturbava la vista. Le gocce cadevano dure sull'ombrello, tamburellando come milioni di biglie rovesciate sulle mattonelle di casa, e proseguivano il loro cammino rimbalzando verso terra o fermandosi a riposare sopra la stoffa dei vestiti, ormai umidi e pesanti.
Era fermo anche lui, sul marciapiede di cemento, mentre osservava l'acqua scorrere verso i canali di scolo come file di auto che da vicoli secondari si gettano unite nella strada principale, persone diverse radunate in un torrente di smog e clacson. Nelle pieghe dell'asfalto il piccolo ruscello seguiva la forza di gravità, continuando impervio il suo percorso verso le fogne, raccogliendo i rifiuti della società: carte, sigarette, sacchetti di patatine e quant'altro sia troppo faticoso gettare in un cestino.
Chiuse l'ombrello. Ora le gocce scivolavano sopra i suoi folti capelli, lisciandoli sotto l'ordinato caos del diluvio, raffreddavano il collo come mani gelide d'estate, accarezzavano le mani e le loro curve, seguendole fino a cadere giù, fino in fondo.
Non era così male, la pioggia era quasi calda e quel tepore lo faceva sentire così libero. Con una calma inoppurtuna per chiunque, ripose l'ombrello nella borsa, bagnando i libri, gli appunti, le fotografie che aveva lì.
Cominciavano i tuoni. Rumori sordi nell'aria con forza si imponevano sugli scabri suoni della routine cittadina, lampi elettrici si sostituivano a lampi d'odio nella vita terrena.
Proseguì per il suo cammino, passo dopo passo, non badando alle pozzanghere che gli si presentavano davanti, nelle quali infilava tutto il piede fino a bagnare anche i pantaloni.
Giunse a casa, bagnato e sudato, sporco e esausto, probabilmente raffreddato. Mise la chiave nella serratura rimirando il cielo che lo aveva accompagnato in quel ritorno a casa, poi si sentì diverso mentre la girava, pensava alle gocce che aveva addosso e aprendo la porta, si sentì meglio. Aveva capito.

martedì 16 settembre 2008

Ricerca d'eresia

Non penso ci sia bisogno di commenti, basta guardare le ricerche collegate.
Se non ci credete, cercatelo con google da voi.
Spero solo che non venga mandato al rogo il mio motore di ricerca preferito.

domenica 14 settembre 2008

Sperando una notte bianca


Ma non in bianco.
Questa notte mi è dispiaciuto un pò saltare la Notte bianca di Roma, anche se Alemanno l'ha fatta al risparmio: è sempre la notte bianca, no? Mi sono tuttavia goduto Hancock e in seguito un'allegra serata al pub fra amici, chiaccherando di cose futili, come i drink, i panini e le dittature mondiali.
La luna piena è sempre adatta a queste notti, oltre a rendere meno drastiche le camminate inutili, alla ricerca di un locale che non c'è in un paesino sperduto.
Tuttavia, i pensieri son sempre quelli. Se volete sapere quali, chiamate il numero in sovraimpressione.
Basta noie, mettiamo su un pò di merengue e rilassiamoci, alla ricerca sia di una dannata partner per il corso di salsa, sia di un pò di felice brezza notturna.

sabato 13 settembre 2008

Già

Già - Sette Brevi Storie

Giovedì 17 Gennaio. Victor era appena nato e la vita davanti a lui era ancora trasparente e limpida. Era semplice, pulita e chiara, come una forma di creta, pronta per essere modellata dalla fantasia dell'artista. 
Come nessuno mai ci racconta, appena nati i nostri futuri possibili, le innumerevoli pieghe spazio-temporali che la maglia della nostra vita può creare, ci vengono mostrati sotto forma di fotoriassunti.
C'è chi vede la propria morte, ucciso dalla mala, chi vede l'amore in un fiore, lo sfortunato che si dispera in continuazione, il ricercatore di felicità nel mare.
Rimembranze anticipate di un destino scelto dalle nostre azioni.
Ma non hanno nessuna importanza i ricordi, per questo ce li dimentichiamo: il nostro futuro viene deciso così dalla nostra scelta, dalla nostra presa di posizione rispetto a ciò che ci circonda, preferendo un gesto ad un altro, una via ad un'altra.

Victor era molto piccolo, nato in un mondo dove le opzioni sono poche: ma la sua scelta era già iscritta nella voglia che aveva sulla fronte.
Voglia di felicità.
Già.

venerdì 12 settembre 2008

Foulard

Foulard - Sette Brevi Storie

Faceva caldo quella sera. Nella lussuosa villa nella provincia di Agrigento il clima torrido turbava la signora Angela; l'aria secca la rendeva cianotica e sudava da ogni poro per via del calore. Fuori dalla finestra si poteva ammirare il suo rigoglioso giardino siciliano, curato in ogni dettaglio dal marito, Giovanni: gli splendidi aranci frusciavano soavemente, mentre gli alberi di limoni con lentezza ondeggiavano, come zattere sospinte dalla corrente.
Il cane si era sdraiato sotto il portico, dove una leggera brezza lo aiutava a dimenticare la sua folta pelliccia. I raggi della luna delle due di notte illuminavano le mattonelle del vialetto, mentre sul cancello una luce fioca mirava tutti coloro che si avvicinivano.

Giovanni non era ancora rientrato. Era tardi, ma Angela voleva aspettarlo, aveva paura. Era terrorizzata dal fatto che il marito avesse preso la pistola, dal nuovo picciotto che sempre più di frequente aveva fatto loro visita a casa.
All'improvviso, un brivido attraversò il suo corpo. Dalla finestra non si vedeva più il cane, le piante erano ferme immobili nel prato; il cancello cigolava.
L'ultimo rumore, un grilletto. Un colpo. E il suo corpo cadde a terra, esanime.
Il sangue usciva dal collo e inondava il prezioso foulard che il marito le aveva regalato per compleanno; un dono pregiato, ma mai quanto il dono della vita.
Morì nel terrore. 

giovedì 11 settembre 2008

Eclissi

Eclissi - Sette Brevi Storie

Era notte. Il cielo nero nascondeva le stelle, piccoli brillantini nello spazio, sovrastati dalla maestosa luminosità della preziosa corona provocata dall'eclissi solare. Milioni di telescopi puntavano il meraviglioso fenomeno che affascina l'umanità da secoli e secoli; eppure Frederick, quel giorno, non degnò di uno sguardo la volta celeste.
Aveva preferito rimanere chiuso in casa, evitando di guardare la volta celeste, estraniandosi dal mondo intero, fuori dall'illusione collettiva. Il ricordo della morte di Clara ricorreva, ad ogni anniversario, nella sua testa: così da dieci anni, non era mai riuscito a staccarsene.
Neanche quell'evento straordinario lo consolava, preferiva concentrarsi sul suo dolore.

L'angoscia devastava il suo cervello, la rabbia percorreva i suoi muscoli contratti e le lacrime inondavano il volto, riempendo gli zigomi scavati e le guance secche. Non poteva sopportarlo, non più. Aprì la finistr del 9° piano, guardò per l'ultima volta il cielo e si tuffò.
Solo in quel momento, in quell'istante, capii. Aveva perso la partita col mondo. Così, morì.

Al suo funerale, giunsero tutti i suoi cari. E gli amici, le vecchie conoscenze, i compagni di viaggio, di studio. Tutti quelli che avrebbero potuto dargli la felicità che aveva sempre cercato. Ma se ne era accorto troppo tardi.

mercoledì 10 settembre 2008

Dalia

Dalia - Sette Brevi Storie

Dimenticato da Dio, sorgeva sull'altopiano centrale del Messico un piccolo casale. Ricoperto di delicati e originali arrampicanti, appariva come una versione in miniatura dei giardini pensili. Il giardino secco ma curato evidenziava l'adattamento al clima impervio dei proprietari.
Alejandro, il loro giovane figlio, amava passare il tempo all'aperto, sia nel cortile, sia raggiungendo il vicino paese; adorava soprattutto compiere il tortuoso percorso che lo portava lì, poichè passava sempre davanti alla casa della vecchia Inés, la quale, come una nonna, conferiva sempre al ragazzo una tortilla, croccante e gustosa come non ne aveva mai mangiate.

Un giorno, scendendo verso il paese con il delizioso pasto nello zaino, incontrò una ragazza, circa della sua età. Voleva conquistarla, ma come poteva fare? Ci pensò un poco, fino a quando la soluzione più ovvia comparve nella sua mente. Prese la tortilla e con fare timido si avvicinò a lei.
Quel piccolo pezzo di pane, con la sua salata croccantezza, conquistò la donna.

La felicità esplodeva nel cuore di Alejandro. E tutto merito di una sola, piccola tortilla. No, non era merito della tortilla, doveva ringraziare Inés. Un altro dilemma nasceva nel suo cranio, ora; la sua famiglia era povera, non poteva permettersi nulla che la vecchia non avesse già, cosa regalarle mai. Un pensiero tuttavia giunse all'improvviso: come la tortilla incantò una donna, un pezzo di pane donato con amore, così il giovane avrebbe potuto regalare alla vecchia qualcosa che provenisse dalla sua casa, reso speciale dal sentimento con cui sarebbe stato posto. 
In quel momento, tutti i giorni passati nel giardino valsero a qualcosa: si ricordò di un angolo nascosto dove crescevano dei fiori dai colori vivaci, particolari; sicuramente i migliori che poteva cogliere. 
Il giorno dopo si recò in paese leggermente prima e, senza che Inés l'aspettasse, gli consegnò quei fiori, riempendo di gioia il cuore della vecchia.

Fu così che Inés sparì, dopo aver reso felice un'altra persona. E anche lei, nel profondo, era commossa, per quella Dalia donata a ... No, forse non è necessario che sappiate chi sia. Non è importante. Chiunque sia stata, lei era Inés, una vecchia felice, niente di più.

martedì 9 settembre 2008

Cern

Cern - Sette Brevi Storie

Come tutte le sere, Kevin Veiller si aggirava per i corridoi del laboratorio sotterraneo del Cern. Aveva appena finito il suo turno di ricerca e si preparava a tornare a casa. Il freddo invernale lo attendeva nella sua automobile, sulla via che lo avrebbe portato a Ginevra, sull'uscio della porta, nell'abitazione piena di solitudine.
Così, come abitualmente faceva, esplorava il labirintico laboratorio, trovando nuove porte, salutando vecchi amici e conoscendo nuovi scienziati, tecnici e collaboratori. Un passatempo che gli aveva sempre dato tante gioie e aveva riempito di emozioni il suo cuore vuoto e crudo.
Tuttavia quella sera c'erano meno persone, probabilmente perché era la vigilia di Natale. Accompagnato dal silenzio dei suoi passi, Kevin giunse ad una porta, sulla quale vi era iscritto: "Ricerca e Sviluppo LHC". Tutti parlavano del Large Hadron Collider al Cern, così, spinto dalla curiosità che lo sosteneva sempre, lo scienziato prese il suo tesserino magnetico e entrò nella sala. Quanti fogli, quante carte, quanta ricerca. Tutto per il bosone di Higgs, per la scoperta della vita, avvicinarsi a Dio forse? O solo allontanarsene prostrandosi a un buco nero? Questo Veiller non lo sapeva e forse non l'avrebbe mai saputo.

Appunti sparsi su un'opera divina, troppo magari. Una strana sensazione pervase la sua mente, tutte in una volta le emozioni si liberarono nel suo corpo: un pensiero gli balenò in testa. Uscì dalla porta, saltò in macchina e si diresse verso la periferia di Ginevra.
L'orologio digitale segnava le 23 e 39; era ancora in tempo.
23 e 58: non ricordava così la casa dei genitori. Entrò. Quanti anni che non si faceva vedere!
E poteva forse nel cuore del padre e della madre essere più importante il bosone di Higgs, Dio e la creazione, oppure il semplice ritorno del figlio?

Kevin per la prima volta celebrò il natale a casa, dopo interminabili anni di assenza. E fu più felice così. Semplicemente.

lunedì 8 settembre 2008

Quanti mesi?

Quanti mesi? Quanti ne sono passati? Troppi.
Non mi fido più del coccodrillo; sono stato troppo poco scaramantico. Non c'è più nulla da fare, o forse sì. Sì! Il mio primo dialogo postato su questo blog:

Otto: "Anna, io ti amo."
Anna: "Anche io."
Otto: "..."
Anna: "..."
Otto: "Ci baciamo?"
Anna: "Dopo."
Otto: "..."
Anna: "Scherzavo."

Bene, è ora di modificarlo. Contro la sfiga, ora e per sempre, altro che Swarovski:

Otto: "Anna, io ti amo."
Anna: "Anche io."
Otto: "..."
Anna: "..."
Otto: "Ci baciamo?"
Anna: "Dopo."


Okay, proviamo così. Vediamo un pò che succede.

domenica 7 settembre 2008

Balene

Balene - Sette Brevi Storie

Blu era il mare, blu era il cielo. Il sole del tardo pomeriggio illuminava il mare del nord mentre la nave Water Crawler II solcava le acque. Il freddo polare si faceva sentire, anche sotto i pesanti abiti indossati dal capitano Enric.
Figlio della ricca famiglia Dustler, sin da piccolo aveva avuto un sogno: navigare. Era appassionato di ogni tipo di scafo, dai gommoni agli yacht, dalle barche a vela alle navi da crociera; ma tutto ciò rimanne sempre un suo semplice hobby, niente di più, niente che influenzasse la sua lussuosa vita.
Passati i trent'anni tuttavia, un giorno d'estate, sentì parlare di un fenomeno spettacolare: nei mari polari, quando vi era l'aurora boreale, una balena saltava fuori dalle acque gelide e emanava un canto favoloso, così dolce da incantare uomini e animali per una notte intera.

Così ora si ritrovava da mesi, con il suo modesto equipaggio, in giro per i mari artici. Aveva aspettato per notti intere la melodia cetacea, ma non era mai riuscito ad udire nulla.

Perchè disperarsi però? Più navigava, più tempo passava lontano da casa, più iniziava a conoscere il suo equipaggio, più si accorgeva quanto fosse agiato e fortunato. Fisicamente e mentalmente si allontanava dalle sue ricchezze e si avvicinava all'avventura. Ormai vecchio, i suoi marinai lo apprezzavano per quanta umiltà e saggezza aveva guadagnato durante il viaggio.
Anche Enric si accorgeva di essere cambiato, si sentiva meglio, e aveva ancora un pretesto per continuare a viaggiare.
Era finalmente contento, aveva coronato il suo sogno.

Così le balene dell'artico, nascoste, continuavano a seguire la nave, assicurandosi che il capitano continuasse a navigare. Per sempre. Felice.

sabato 6 settembre 2008

Astri

Astri - Sette Brevi Storie

Anche nella notte più tenebrosa, nell'oscurità della propria vita, una piccola costellazione, dimenticata dall'astrologia e dall'astronomia, può portare un barlume di speranza nell'anima.
Fu così che in una notte australiana, Carl Boyer si stese per terra, nella fattoria dello zio, poco lontana da Melbourne, e ammirò nel cielo australe la costellazione dell'Apus. Non seppe per quale motivo, e tutt'oggi non saprebbe darne una spiegazione, ma la complicata ricerca che lo aveva condotto a identificare quella costellazione nello spazio la entusiasmò moltissimo. A Melbourne non era mai riuscito nell'impresa: quante luci offuscavano la vista, milioni di lampioni per le vie della città accecavano l'uomo al cospetto della vastità dello spazio. Sì, Carl Boyer aveva avuto molto dalla vita, era benestante, non gli era mai mancato nulla: ma solo quella sera il suo spirito si sentì libero.
Abbandonò agi e lussi, vendette la sua casa in città per acquistare una nuova fattoria, dove si recò a vivere per il resto della sua vita.
E per quanto fosse semplice la sua vita, per quanti problemi poteva avere, per quanti dilemmi poteva porsi, ogni sera, sdraiandosi sotto il cielo stellato, ammirava la costellazione dell'Apus che lo risollevava.
Non seppe mai perchè, ma Carl Boyer, da quel giorno, fu felice.

sabato 12 luglio 2008

La Notte

Quando il mondo gira, quando la notte cala e il sole scompare all'orizzonte, nascono i sogni.
E il vero pensiero. La notte, si sa, porta consiglio. Fu così che gli scienziati produssero più nelle poche ore dopo il tramonto che nella lunga giornata, sotto il sole cocente.
Il cervello, senz'altro predilige una temperatura fresca, come quella che la brezza notturna porta ogni volta; e ama la freschissima aria, che accarezza la pelle con tocco materno.
La luna, con il suo pallido candore, rinfresca la mente come un ghiacciolo guarisce dal caldo, e i suoi raggi scaldano il cuore, non le tegole.
La solitudine serale è l'ideale per la tranquillità: col sole scomparso il lavoro si ferma, i rumori cessano e si possono udire i più quieti suoni che la natura offre.
La pace della notte.

Quindi, la convincete mia madre che non deve importunarmi quando decido di restare sveglio fino a tardi?

mercoledì 9 luglio 2008

La finestra

La luce dell'alba svegliò il vecchio che dormiva beatamente nel suo letto a baldacchino, ricoperto di gemme preziose e fregi dorati. Lentamente la figura aprì gli occhi e, svegliatosi del tutto, posò i piedi per terra e levò il busto. La vestaglia candida lo copriva per intero e si abbinava perfettamente ai suoi capelli ingrigiti dall'età. Alzandosi in piedi mostrò le sue mani e i suoi piedi, ossuti e pallidi, così come il resto del corpo.
Un servizievole uomo aiutò l'anziano a lavarsi e a vestirsi per la mattinata.
Nella sua mente scorrevano le immagini del suo potere: tanti seguivano il suo verbo, anche se aveva numerosi oppositori. Ma non importava, avrebbe sicuramente governato ancora a lungo.
Mentre consumava la sua regale colazione, pensava a quale parole conferire al popolo quel giorno, in modo da apparire migliore di quello che era, ingannandoli tutti.
Poche ore dopo si cambiò di nuovo d'abito, indossandone uno caratterizzato da innumerevoli particolari preziosi e stoffe costose.
Si portò fino alla finestra, che un servo aveva aperto poco prima per lui: e così il Papa iniziò a parlare ai fedeli presenti nella piazza.

L'ultimo tramonto

Quella sera il tramonto era arrivato presto; nuvole rosse popolavano il cielo estivo, mentre l'orizzonte tranciava a metà il sole. Un enorme disco color arancio che imperturbabile si calava oltre le colline, pronto a far spazio alla luna e alla notte. Le venature gialle e porpora presenti sulle nubi poco a poco sfumavano, trasformandosi in pennellate di blu e azzurro.
Il sole, sempre più debole, lanciava i suoi ultimi raggi di luce contro l'incantevole cittadina che sorgeva nella valle. Era accerchiata dai numerosi rilievi che la proteggevano dai venti e dai turisti, ma la rendevano più buia e meno nota.
Su una montagna nei dintorni, steso su un prato sotto un albero da frutto, un uomo ammirava quello splendido tramonto, inebriato dal profumo delle more, delle pesche, delle albicocche e dei lamponi. Accanto a lui una splendida donna lo accarezzava dolcemente, sussurrandogli parole smielate; i due si avvinghiavano, mostrando alla natura il loro amore.
Qualche centinaio di metri più in là era parcheggiata la sua macchina rosso fiammante, nuova di zecca, che li avrebbe riportati, quella notte, nella loro lussuosissima camera d'albergo nel centro del paesino. E cosa poteva mai valere più di questo paradiso, entusiasmante gioia per i sensi? Semplice, la Vita.
Un paesaggio da sogno, agognato da molti. Così si presentava l'ultimo desiderio di un condannato a morte.

Il giorno dopo la ricca moglie aveva perso tutti i propri averi, ma non importava. Non ci pensava nemmeno: nella sua mente c'era solo lui, lì, seduto sulla sedia: "No, non è giusto" urlava la donna con le lacrime agli occhi, mentre veniva portata fuori dalla stanza dagli agenti.
Subito dopo una scossa percorse tutto il corpo dell'uomo, che possedeva un'espressione al limite del surreale, come un canarino in gabbia di fronte a migliaia di gatti.

E immediatamente, folgorato, si spense. Era morto, per un reato che non aveva mai commesso: Così il mondo mostra a se stesso con quanta crudeltà è capace di sbagliare.

venerdì 4 luglio 2008

Assassino

Risme di carta svolazzavano libere nell'aria, mosse dal ventilatore posto sul soffitto. Parole nere e forti provavano per la prima volta l'ebrezza del volo, planando verso il parquet. La luce del tramonto irraggiava le tegole della casa, illuminando le finestre della mansarda, attraversando i vetri e raggiungendo lo scrittore, chino in una posa inusuale sui fogli erranti.
Gocce rosse, che colavano dalle tempie, cadevano come lacrime sulle ultime pagine del romanzo. L'autore, spirato, piangeva il romanzo ormai vedovo.
Un'ombra furtiva estrasse il coltellino svizzero dalla testa della vittima, pulendolo con un panno. Subito dopo, con certosina pazienza, asciugò il sangue che si era riversato per terra.
Spinta dalla corrente, una pagina colma di accese accuse e denunce decise, si posò davanti al viso dell'assassino.
Pur staccando il foglio con violenza, non riuscì a distogliere lo sguardo da una frase, piena di parole più profonde delle altre e evidenziata da un rigolo di sangue: "..non morirò solo..".
Sulla bocca del criminale si disegnò un sorriso beffardo, compiaciuto.
Fu la sua ultima espressione.
Un colpo secco si conficcò nel suo petto, fracassandogli una costola, trafiggendo due arterie vitali, una parte di polmone e numerosi muscoli.

L'assassino dell'assassino è su tutti i giornali, in tutti gli archivi di polizia, ed è libero. E' vivo. E quando morirà, non morirà solo.

domenica 8 giugno 2008

Baguette

A mezzogiorno il profumo di baguette appena sfornate si diffondeva nell'aria di Parigi, mentre il sole picchiava forte sui tetti, riscaldando gli animi degli inquilini. Il vento soffiava nelle orecchie dei giovani amanti e nei boulevard più rinomati della città le coppiette erano inebriate dall'accoglienza di quelle vie. Gli uccelli si svegliavano pigri e decollavano dai loro nidi verso fast-food o chef maximè dove rifornirsi di avanzi per sopravvivere; le uova si schiudevano e i piccoli pulcini chiedevano cibo.
Frank riposava sotto i platani, mentre il fruscio delle foglie accompagnava i suoi pensieri al ritmo di un blues nostalgico. Come in un sogno lucido una donna, giovane e bella, apparì al suo fianco, ridestando il parigino dal suo rimuginare. Un vestito completamente rosso e scintillante, contornato da dei capelli mori che fluttuavano nell'etere, gli orecchini di perla da infiniti carati grossi come biglie e le scarpette con tacchi chilometrici, facevano intuire che tutto ciò non era reale. "Un'altra visione, diamine" pensò Frank; con calma si alzò dalla panchina, si voltò versò la donna e la fissò per qualche minuto. - Mi chiamo Angela - mormorò.
- Piacere Angela, a cosa devo l'onore? - replicò lui assumendo una posa il più casual possibile.
- Onere è un termine più adatto, - disse Angela con tono autorevole - sono qui per condurti da... -

La visione scomparve così come era arrivata. Una bellezza superiore, scartata per far posto alla sua vita. Leggiadria al vento, buttata, sprecata per volere del destino. Perchè le donne controllano il destino. - Odio le interruzioni - imprecò Frank, scacciando dalla mente le limpide riflessioni sull'amore.
Si ritrovava solo e sperduto per i viali francesi, mentre il sole alto nel cielo lo abbagliava ancor di più. Una foglia gli giunse sul palmo, spinta da una brezza soprannaturale. "dal Signore delle Tenebre" così la cellulosa concludeva il messaggio della donna.
"Dovrei smetterla di leggere fumetti" constatò Frank che, con passo lento e deciso, si diresse verso casa.

sabato 17 maggio 2008

Funerali e Preti

Funerali e preti, due cose che secondo il mio punto di vista non vanno molto d'accordo. Oggi, per un disgraziato evento, mi sono ritrovato ad un funerale. Ma non è importante di chi, quando, perchè, no sono domande inutili di fronte all'incoscienza e alla stupidità (o mascherata furbezza?) dei sacerdoti che celebrano questo rito: ognuno di loro, in ogni funerale, si mostra ignorante e direi perfino malvagio, sfruttando un evento così drammatico, così doloroso per la famiglia, per il solo scopo di ricordare ai presenti (che fra l'altro negli ultimi tempi raramente sono ferventi fedeli) quali sono i precetti della "Fede Cattolica" (sì, cattolica, perchè la mia fede è ben diversa).

Oggi il prete, durante la mezz'ora di messa "dedicata" alla defunta (e lo scrivo fra virgolette, perchè di spazi dedicati alla povera morta ce ne sono stati davvero pochi), non ha fatto altro che parlare di come tutti dobbiamo essere fedeli a Dio e prostarci ai suoi comandi (sempre che non siano i precetti scritti da qualche maniaco di grandezza in nome del Signore).
Ma lo scopo della Chiesa in occasioni così tragiche, non dovrebbe essere il più umano possibile, ovvero consolare la famiglia di quella donna? Di ricordare a tutti come è morto Gesù, ma come ha pianto Maria e come i cristiani l'hanno confortata? Non so se credete o no in Dio, non è affar mio, ma la metafora è comprensibile anche da chi ha fede zero.
Un'organizzazione come la Chiesa dovrebbe sollevare i suoi fedeli, non torturarli con le parole e infliggergli dolore, per il solo scopo di consolidare il dominio di un maniaco tedesco (Ratzinger, ndr).

Per quanto posso credere in Dio, non posso credere nella Chiesa. Queste sono le cose che mi deprimono, lo sfruttamento delle persone come giustificazione degli atti compiuti. Che fottuti bastardi, bruciassero all'inferno i servitori di Satanetto sedicesimo.

mercoledì 14 maggio 2008

le Avventure di Fra Injo

Il buio si era impadronito del cielo anche quella notte, mentre la luna era ridotta ad un piccolo spicchio, emanando solo una fioca luce che permetteva a malapena di distinguere i contorni dell'abbazia.
Il muro di cinta era spaventosamente alto, ma le lunghe guerre l'avevano ferito e ora era pieno di buchi, scalfiture e crepe, ma un recente consiglio di esperti in architettura medioevale applicata ai terremoti italici aveva confermato la sicurezza della costruzione.
Il dormitorio era piombato nel sonno ma una luce, proveniente dalla cella 109, secondo piano, terzo corridoio a sinistra, illuminava la parete orientale dell'edificio, disturbando il sonno di numerosi fratelli, immersi in riflessioni spirituali così profonde e complesse da essere chiamate "sogni".
Rumori meccanici interrompevano continuamente la quiete dell'abbazia, ma Fra Injo sapeva come tenere a bada gli altri frati ed evitare proteste o, peggio, torture carnali.
- Attento, il pezzo K35 va montato sotto la batteria non sopra! - Urlò piano Fra Tello.
- Shh, Tello, fai silenzio. Vedi qui? hai il foglio al contrario. - Constatò Fra Injo rigirando il manuale dell'iPod.
Fra Tello, offeso, si ritirò nell'accanita lettura delle istruzioni, pur non capendoci nulla, ma continuando a seguire i comandi del confratello.
- Ma, - esitò Fra Tello - sei sicuro di riuscire a montarle queste casse? -
- Che domande, l'ho visto fare mille volte nei film. Funzionerà benissimo - Sentenziò Fra Injo.
- Se lo dici tu. - Confermò l'altro nella sua più totale ignoranza.
Il più saggio dei due continuò a saldare pezzi, collegare fili e stringere ganci per qualche ora, fino a quando il suo oggetto del desiderio fu completato.
- Spettacolare! - Esultò l'ebete.
Fra Injo teneva nelle sue mani un gioiello della tecnologia fatta in casa o, per meglio dire, fatta in chiesa. Una micro-cassa larga appena due centimetri e spessa uno, con una potenza tale da poter sprigionare un Ave Maria da cinquecento decibel, progettata esclusivamente ad uso clericale, permette di registrare fino a 30Gb di preghiere pronte per la ripetizione, l'ideale per le messe o per le orazioni mattutine; è facilmente inseribile nelle fessure del saio francescano, vicino la gola, e libera dagli obblighi monacali.
Dopo un'ora abbondante di ammirazione, estasiati da quel miracolo marchiato San Steve Jobs, i due si separarono: Fra Tello si diresse verso la sua cella, la 84, primo piano, seconda scala dal piano terra, mentre Fra Injo cancellava ogni traccia del misfatto.

L'alba del giorno dopo, in seguito alle preghiere mattutine recitate con la propria voce, si riunirono i quattro frati molto annoiati: Fra Injo, Fra Tello, Fra Gola e Fra Udolento.
- Che palle. Ieri sera ho mangiato troppo, devo chiedere del bicarbonato a Fra Schetta. - Esordì Gola.
- Fratelli, vi ricordo che oggi è un'altra giornata senza il nostro caro amico Uberto - Disse adirato Udolento.
- Amico mio, sono cinque anni che è morto, puoi anche smettere di ricordarcelo ogni giorno. Considerando che aveva centotrentatrè anni oltretutto. - Sbuffò Injo - Ho cose molto più importanti da mostrarvi. -
I frati furono subito sconvolti dal malvagio piano del fratello. Si fecero spiegare nel dettaglio il funzionamento del lettore MP3 e, fra le critiche di Udolento e l'approvazione incondizionata di Tello, Injo accettò di progettare e costruire altre tre mini-casse per i suoi amici.
Quello stesso pomeriggio si mise al lavoro e, oltre a confezionare pacchettini regalo per Tello e compagnia, registrò con un microfono di contrabbando il Padre Nostro per la messa del giorno (era Domenica). Tentò di ascoltarlo con le cuffie, e l'audio gli pareva perfetto: era pronto per l'opera.
Prima della cena, che avvenne regolarmente alle 19:30 nell'enorme refettorio, pieno di tavoli tarlati, lunghi quanto l'edificio stesso, e pronti ad ospitare centinaia di fedeli, distribuì gli strumenti digitali agli altri francescani, mentre lui stesso indossava la sua micro-cassa; gli altri seguirono le sue istruzioni e collegarono le loro all'iPod, anche se Udolento aveva un'espressione di disdegno sul viso, in parte contrario all'iniziativa. Tuttavia i suoi problemi di memoria e la sua continua stanchezza erano argomenti più che validi per convincerlo.
Terminato il pasto, i frati si alzarono e si riunirono in chiesa, poco sfarzosa e piuttosto essenziale, ma si erano sempre accontentati, pronti a recitare le numerose preghiere previste quel giorno.
L'Abate Cordièro fece il suo ingresso nel presbiterio, camminando ubriaco verso l'altare, dove diede le istruzioni per iniziare i canti.
Con un colpo secco, i quattro frati poco intonati avviarono il loro fedele iPod e, dotati di sistema monofonico impiantato presso la gola, iniziarono a cantare come in un perfetto coro evangelico.
Per molti minuti la situazione fu tranquilla, controllata dagli stop e play del congegno al ritmo della messa, ma al momento sbagliato successe qualcosa di indescrivibile.
Fra Injo, preso dal panico, premette il tasto sbagliato. Mentre tutti i frati si preparavano a inneggiare "Gloria a Dio nell'alto dei cieli", dalla sua bocca (o giù di lì) uscirono le prime note di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin.
Data la spropositata differenza di decibel fra la voce del gruppo britannico e il frate, venne prodotto un rumore sicuramente più potente di un'esplosione atomica, al punto da rompere il 90% delle vetrate lì presenti; altri danni furono lo svenimento dell'Abate (tuttavia non per colpa dei cantanti ma del limoncello), mentre i quattro frati decisamente sfortunati si salvarono solo grazie all'aiuto di Fra Casso, che aveva apprezzato il notevole fracasso. Dall'abbazia furono banditi tutti i meccanismi digitali e a Fra Injo fu negato il permesso di prendere libri a tema tecnologico dalla biblioteca.

Chiuso nella sua cella, Fra Injo scontava la sua pena. 120 giorni con "Gloria a Dio nell'alto dei cieli" sparata nelle orecchie mediante un grammofono vecchio stile. Con tanto (di) Fra Casso, seduto fuori dalla cella per controllare eventuali fughe, fornito di ovatta a volontà.

Malati al Quarzo

Sul balcone regnavano incontrastate le innumerevoli piante di Frank, con le foglie bagnate dalla riugiada che poco a poco scivolava sulle venature e abbeverava gli esemplari delle più remote specie floreali. Nel frattempo le api se ne tenevano a debita distanza, spaventate da un oggetto africano, regalato da Ed all'amico come ringraziamento per l'ospitalità.
Il ronzio delle ali era distante e ora prevaleva il sottofondo musicale Jazz scelto dallo spirito, giusto per ricordare che nella sua cultura rientravano anche nozioni melodiche.
I raggi si facevano sempre più forti e si infrangevano contro la vernice bianca degli esterni e sulla flora, dove la clorofilla ringraziava fischiettando un motivetto molto colorito: luce e acqua, anche quel giorno il francese non si sarebbe dovuto preoccupare della salute della sua piccola serra.
Tuttavia non erano quelli i problemi a cui pensava quella mattina; sdraiato sulla sua amaca, cercava invano di distogliere la sua attenzione dalla chiarezza con cui ormai vedeva le cose.
Nulla gli pareva più complicato, le immagini erano sempre limpide e cristalline, le persone erano così comprensibili, tuttavia si domandava come tutto ciò, chiaro e trasparente, gli potesse essere così difficile da accettare. "Ti abituerai. Immagino che, come qualsiasi sensazione, prima o poi passerà." Rispondeva sempre Edgard.
Poco dopo, in accappatoio, Frank sceglieva nel suo enorme e spaziosissimo armadio della camera da letto quali vestiti indossare per uscire quella mattina. I blue jeans erano una scelta tanto scontata quanto perfetta, quindi per la parte inferiore non aveva dubbi. Nella crociata fra T-Shirts e camicie le ultime prevalsero nel nome del signore dei bottoni, così fu presa una camicia celeste dall'apposito cassetto. Dopo un rapido sguardo alla finestra, constatato il dominio del sole, il francese parteggiò per una giornata senza giacche o felpe, mentre completò il tutto con un paio di Converse estive e leggere.
Lo spirito chiuse la porta alle spalle del francese che si avviava giù per le scale. "Amo scendere dal quarto piano, ma quando ho comprato la TV al plasma, i miei muscoli avrebbero tanto voluto un ascensore." Disse una volta il suo vicino del piano. Al piano terra numerosi quotidiani imploravano di essere letti pur di non essere macerati, ma quella mattina Frank aveva già letto. E poi è tutto così banale sui giornali.
Il venticello che soffiava per il boulevard non gli impedì di accendersi una sigaretta. Ed non tollerava che il suo coinquilino fumasse, non per i danni alla salute, piuttosto perchè riteneva che il fumo creasse interferenze durante i loro dialoghi.
A piedi si diresse verso la via dove lavorava. Frank aveva un negozio di orologi, ereditato dal padre, pieno di vecchi cimeli di notevole valore, strumenti paleocristiani, pendoli della prima guerra mondiale e rolex cinesi, venduti a caro prezzo a qualche aristocratico troppo fiero di se.
I suoi dipendenti lo chiamavano "Zurich" per la precisione con cui lavorava e per riderne pensando al nome-ossimoro "Frank Zurich".
Apriva personalmente il negozio ogni mattina, e nessuno poteva entrare se lui non dava il permesso. Si occupava personalmente dei pazienti più complicati e, dotato di bisturi e pinzette, rimetteva a nuovo anche gli orologi più disperati.
Quel giorno però il suo lavoro gli sembrava più facile, illuminato da una nuova lampadina nel suo cervello. In quel momento però avrebbe preferito avere un faro. Il buio più totale calò sulla città, mentre dei suoni minacciosi uscivano dal suo negozio: rapidamente, prese le chiavi, si tuffò sul lucchetto e lo aprì in un istante. In un attimo fu dentro dove una luce fioca illuminava un orologio sul tavolo di vetro. A passo lento si avvicinò, guardandosi intorno: non c'era nessuno. Era a un metro dal meccanismo a lancette, quando da lì partì un colpo di pistola che gli trafisse il cranio.
Frank Zurich tirava su lentamente la serranda, ammirando il sole alto nel cielo, con l'animo sconvolto.
Pochi minuti dopo i primi clienti passavano a ritirare i loro malati al quarzo, ignari e felici.

martedì 13 maggio 2008

Il Caffè


Il vento fece sbattere le finestre, mentre il sole dirottava i suoi raggi sullo specchio del bagno, illuminando un ripiano stracolmo di creme, lozioni, colluttori muriatici e saponette al profumo di drago, interrotti da un lavandino circolare di colore bianco, oltre a numerose scatole, pacchettini e confezioni piene di medicine anti-stress, anti-vita e salva-noia, pronte ad essere ingerite o distribuite in bustine effervescenti e variopinte.
Poco più in là il riflesso, unito a un odore alquanto poco stimolante, si diffondeva nella camera da letto, dove i fotoni, ostacolati dalle molecole contenute nelle persiane, lentamente si rafforzavano per sconfiggere la difesa degli atomi e raggiungere la loro meta, un corpo semi-svenuto sdraiato su un comodo materasso.
Sollecitato dalle particelle, si oppose all'istinto primordiale di riaddormentarsi e aprì i suoi occhi, specchio dell'anima ma in quel caso rappresentavano molto meglio la sua stanchezza. O il suo terrore: una figura tanto angosciante quanto orribile (ed oltretutto produttrice di quell'odore) proiettava la sua ombra sul muro intaccato solo in parte dall'orda di fotoni spavaldi; tuttavia l'immagine a colori in tre dimensioni che antecedeva la parete era molto, molto peggio dell'ombra.
Rapidamente le tapparelle esplosero, i timpani si ruppero e la casa crollò.
Poco dopo un dolce odore di caffè giunse alle narici di Frank, imbrigliato nelle lenzuola, le quali non nascondevano il suo profilo poco ottimale. Con molto coraggio posò i piedi per terra, mentre con incredulità toccava la finestra e tirava su le tapparelle, ammirando il panorama di Parigi dal 4° piano dell'edificio. Ancora integro.
La vita tornava a scorrere nelle pareti, e mano a mano la luce prevaleva sulle tenebre, rivelando il colore giallignolo della stanza. Era già in bagno, dopo essersi sciacquato la faccia e avventurato nella giungla di tubetti e lozioni, che ormai coprivano anche le splendide maioliche bianche e turchesi di notevole prezzo. Le marche delle multinazionali erano riuscite, ancora una volta, a coprire un tripudio di artigianato.
Percorse il corridoio dove salutò i quadri, i quali ricambiarono molto amichevolmente, dirigendosi verso l'ultima barriera che lo separava da una sostanziosa colazione: la porta della Cucina. La tazza di caffè, tipicamente napoletano, di quelli stretti, emanava nella camera un'odore forte e vivo, come per rianimare una casa crollata di notte e rinvenuta con i primi bagliori del mattino.
Le porte a vetri erano aperte e conducevano nel balcone condiviso con la camera da letto. "Un bel balcone, così largo che mi domando se non sia quella la vera casa", aveva commentato una volta Edgard.
Edgard era il migliore amico di Frank da quella notte, scelto fra gli spiriti e estratto a caso dai pensieri contenuti nel cuscino. Era andato ad abitare con il francese immediatamente, pronto a mettersi alla prova con un essere umano, anche se non poteva evitare di ritenersi più saggio di qualsiasi forma di vita "intelligente".
A dispetto del nome, Edgard era un italiano doc, dotato di numerose conoscenze tecniche, scientifiche e letterarie, esperto di cucina e, naturalmente, vero maestro del "Caffè Stretto". La convivenza forzata fu presto accettata da Frank, che ormai condivideva con Edgard i suoi pensieri, i suoi sogni, le sue idee politiche e non, riflessioni sull'aldilà (poco tollerate dallo spirito) e commenti liberi sulle notizie quotidiane.
Una sorta di assistente personale disponibile 24 ore su 24 e, soprattutto, così privato da essere visibile solo a lui.
- Sai Ed, - così lo chiamava Frank - questa notte ho fatto un sogno. Un'ombra (tema ricorrente, osservò acutamente l'italiano) si stagliava sul muro e poco dopo la sua vista, catastroficamente orripilante, il mondo finiva. -
- Beh, - cominciò Edgard - non è un sogno così strano. E' probabile che il mondo più prima che poi finisca, e non è detto che tu non ci sarai quel giorno -
- Ma quella figura era così strana, perchè ha scelto me? - Insistette Frank.
- Forse non ti ha scelto, forse non è nulla, forse è un presagio o forse avevi mangiato troppo ieri sera - Commentò filosoficamente l'amico.
- Comincia a studiare un pò di arte culinaria, così qualche causa la eliminiamo - Disse ironicamente il francese.
Edgard lo guardò minacciosamente, ma il suo coltello da cucina tagliava solo le carote e rapidamente sul suo viso tornò lo sguardo allegro di sempre. L'altro continuò a sorseggiare il caffè, poco alla volta, alternando la lettura di qualche notizia di cronaca alla critica di varie pubblicità.
Un altro giorno era iniziato, il sole splendeva sulla capitale della Francia e le pulsazioni al minuto di Frank erano aumentate di numerose unità.

lunedì 12 maggio 2008

Boulevard

Tanto tempo fa, in una paese non molto lontano, no guardate, proprio vicino ma così vicino che è proprio qui quasi, viveva un uomo di nome Frank, di cui si narreranno le numerose avventure in questo blog, per passare il tempo, per sentire ancora il rumore del mare in una conchiglia ormai rotta.
Frank passeggiava per una via francese quella sera, inebriata dal profumo della città, ma giungeva ad un naso raffreddato, stremato da quella vita e da quella monotonia.
Il boulevard era costellato di lampioni, forme cilindriche che culminavano in una forma sferica illuminata come neanche le migliori lampadine al neon o all'argon sanno fare. La città quel giorno era nel pieno delle sue forze, decisa a influenzare in un modo o nell'altro lo scorrere lento e triste dei giorni.
Una ad una le luci si spensero, come se si stessero preparando a far entrare in scena qualcosa di spettacolarmente maestoso, un'entità dalla potenza catastrofica e benigna. Il nostro eroe rapidamente si accese una sigaretta ma non nascondeva la sua agitazione. Ma rimaneva lì, comunque, irremovibile e pronto ad andare avanti.
Pochi attimi, più indefinibili che indescrivibili, lo sconvolsero. Era deciso, da quel giorno egli sarebbe stato Frank Boulevard.
La notte lo accompagnò a casa e il suo cuscino si preparò ad ingerire i pensieri sconsolati rianimati da un atto inaspettato.
Persone, cose, amici, strade, qualunque cosa che egli potesse immaginare gli pareva ora più chiara.
Tutto un sogno.
Anche quella notte le lampadine da 150 Watt avevano cambiato un'altra vita.

giovedì 20 marzo 2008

Una vita lunga un sogno

Capita di ritrovarsi in una voragine di pensieri, e vi assicuro che è molto più facile se siete rincoglioniti persi e provate a scrivere un articolo alle due di notte, con un buon carico emotivo alle spalle.
Le voragini di pensieri si caratterizzano per la loro totale inutilità e la facilità di dimenticanza, che le rendono tremendamente fastidiose o per meglio dire, una grossa rottura di palle.
In un fosso di idee del genere vi entrano a far parte le peggiori considerazioni che abbiate mai fatto, o i giudizi che credevate dimenticati in qualche sezione della memoria occipitale; tutto prende una determinata forma, scorre, si amalgama, Panta rei come direbbe un noto filosofo greco. E questa sfilza di frasi staccate e senza senso assume una determinata connotazione, chiamata in gergo letterario, flusso di coscienza.
Un enorme, spazioso, complicato e annodato flusso di coscienza che mi percuote il cervello e tira le mie palpebre, per farle poi ricadere al momento giusto, provocando una situazione di stanchezza simile al fine giornata di uno scaricatore di porto.

Tra le tante parole che pesco a caso in questo vortice, spuntano fuori i concetti dell'amore, dell'amicizia, sì fondamentali e perfetti, direi proprio coscienti. Ogni sillaba a va a costituire una lunga serie di simboli che mi suscitano valutazioni, positive o negative, riguardo Cupido e la sua banda di scellerati arcieri che infliggono le pene d'amore al mondo intero; rivaluto l'esercito dell'Amiciza e lo squadrone Alpha-Bestfriend che combatte a suon di dialoghi pacati e vince contro il dolore e l'eternità.

Naturalmente a figure allegoriche così importanti ne seguono di peggiori, come il giudizio filosofico della vita preceduto dall'analisi dello scopo della stessa; fiumi di simboli che alla loro foce comune mostrano contenuti più profondi di quanto non si possa raccontare. Così si spiega come un ubriaco faccia ottime considerazioni o un idiota riesca a scoprire una formula fondamentale per la matematica. Qualsiasi cosa è persa di fronte alla potenza del verbo scordare che elimina pagine e pagine dalla nostra memoria e disabilita la loquacità degna di un essere senziente come è l'uomo.

Un enorme sogno fa da contorno a tutto questo, forse perchè proprio ora mi trovo in un sogno, o tu stai semplicemente sognando tutto ciò.
Ma no, non diventiamo pazzi, non ci conviene. D'altronde, per far spazio alla follia, ci sono sempre i preti. E i filosofi.

Lacrime d'amore, Santo coccodrillo

Ricordate le fugaci avventure dei nostri eroi? Se no, andate a leggervele, altrimenti continuate pure nell'inconsueta lettura.

Otto e Anna, protagonisti indiscussi anche se molto criticati della love story, si ritrovano innamorati da due mesi ma la loro condizione mentale, sociale e fisica (PS: 10 al compito! no scusate, quella è un'altra fisica) li rende estrememente instabili, per dirla alla Freud, idioti.
Le loro capacità intellettive sono ridotte al minimo e, da quando io ho memoria che si piacciono, non si sono mai detti nulla di vagamente relato alla loro condizione, no, niente, vivono nell'ignoranza e il loro desiderio viene ricompensato da una gioia quotidiana destinata ad estinguersi con il tramonto e a fiorire con il sorgere del sole.

Giorni di agonia, tristi racconti e resoconti decisamente infelici (questo sì, è un chiasmo, ma viene da se, non c'è bisogno dello studio infinito e accidioso di Petrarca per crearlo), giunge la tanto inaspettata quanto felice notizia: Anna, con strenua volontà, fattasi forza, e altre numerose metafore che non sto qui ad elencare, decide di dichiararsi al suo amato con una strategia alquanto semplice e efficace, anche se un pò triste.
Ma si sa, in amore e in guerra ogni arma è lecita (e se il proverbio non era così non commentate, che non importa a nessuno).

Ed ecco che la rivelazione arriva dall'alto del web, dai cavi della connessione internet, dai modem e router che si rimpinzano di chat di MSN e sputano fuori frasi senzienti.
Così Otto riceve la sua dichiarazione e come è giusto, accetta la richiesta ed inizia la condivisione di passioni, insomma, si mettono insieme per dirla in un modo meno informatico.

Anna ama Otto, possiamo dirlo, lo sappiamo, è confermato e dopo una settimana potranno vedersi per conciliarsi com'è normale (speriamo) fare.
Se c'è un Dio lassù, si faccia controllare il modem, perchè una richiesta prima che venga esaudita impiega più di quanto una nonnetta ci mette a farsi una visita medica.
Oh, santo coccodrillo, confidiamo in te.

lunedì 25 febbraio 2008

Cloverfield

Pre-Scriptum: cercherò di spoilerare il meno possibile, ma non vi assicuro niente.

Prima di parlare del film, vorrei descrivervi qual'era la mia situazione prima di vederlo.
Per prima cosa, avevo già scaricato il film il giorno prima, ma qualche furbone aveva graziosamente scambiato il vero video con un fantastico "The Crash", ottimo film, ma non volevo vedere quello. Se volessi vedermi "The Crash", cercherei questo sul mulo, non ti pare geniaccio :D?
Dopo aver maledetto l'autore del file, scritto sul Deathnote il suo nome e bestemmiato in aramaico antico, ho aggiunto alla coda dei Download 4 nuovi Cloverfield, per sicurezza. Fortunatamente il primo era lui e sono riuscito a vedermelo.
Chiaramente comprerò anche il DVD a breve, appena esce.

Oltretutto ero anche influenzato (non nel senso che mi avevano fatto cambiare opinione, semplicemente ero stato attaccato da simpatici batteri da cui dovrei essere vaccinato), e mi sentivo assonnato, stile post-pranzo di Natale.

Dopo una lunga attesa (ben 3 giorni), riesco finalmente a guardare per intero l'amato lungometraggio.
Oddio. Amato forse è dire troppo, diciamo il bel lungometraggio ecco.
A livello di trama è un bel film, molto tragico, ma perlomeno si distingue dal classico film americano in cui il buono ammazza tutti i cattivi (spesso ridotti a un unico genio del male, frutto della fantasia di qualche sceneggiatore drogato) e si prende all'incirca 143.302.123 medaglie al valore dopo aver distrutto mezza New York; qui invece l'unico eroe è il nostro Hud, novello cineamatore, che nel suo viaggio attraverso Manhattan registra le avventure di quella notte infernale.
Il punto più innovativo e speciale di tutta l'opera però è la regia sicuramente, dove le riprese in stile amatoriale rendono il film più accattivante e realistico, dato che si scende al livello più basso del punto di vista, la focalizzazione esterna: noi spettatori non sappiamo nulla di quello che succede, e non sappiamo tantomeno quello che pensano i protagonisti.
Tutto il film si basa su questo lato misterioso e nascosto, sul "ritrovamento" delle informazioni, che coincide con il ritrovamento della cassetta nel Central Park; mano a mano riusciamo a capire sia la psicologia dei personaggi sia lo scorrere storico degli avvenimenti, e questa visione porta a un film originale e complesso, diverso dal solito, particolare nelle scene e negli avvenimenti.
Ci comunica una sensazione di terrore ma anche di eccitazione, probabilmente molto meglio di qualsiasi documentario, poichè il patto con lo spettatore ci porta ad accettare il tutto come vero, e allo stesso tempo il realismo è confermato dalle riprese.

Trovo il film molto avanzato ed evoluto, capace di illuminare le persone, con gli ovvi riferimenti all'11 settembre e le ripetute citazioni di altre opere famosissime.
Complimenti al regista, un lavoro minuzioso che ha portato a un lungometraggio unico, che colpisce sicuramente chiunque lo veda.
Grazie alla sua elaborata storia, può scuotere anche gli inamovibili. Profondo, complesso e ben girato. Ottimo lavoro J.J.!

giovedì 21 febbraio 2008

La ragione

La ragione.
Che grande torto dell'essere umano, che complicazione inutile di una vita già per se fantasiosa e attorcigliata. Perchè un essere divino ci ha dotato di una virtù (o difetto?) così potente e astratto?
La ragione è qualcosa che nella vita moderna o si ha, o non si ha. Siamo piccole scialuppe disperse in un mare di follia, dove i nostri remi sono la ragione che ci fa sopravvivere. Ma allo stesso tempo, chi annega è uguale a chi si salva, perchè perde la ragione.
Sopravvivere o morire? perdere la ragione per raggiungere l'isola del dolore o per amore della follia? Chi ha ragione in fin dei conti, si fa carico di decisioni, scelte, sbagliate o corrette che siano, che alla fine porteranno inevitabilmente a una vita dolorosa.
Tieniti Dante il tuo inferno pieno di peccatori, il tuo paradiso riempito di anime pie che dedicarono la loro anima a un principio inesistente, tieniti Dante le tue pene di sofferenza e le tue beatitudini eterne, io non ne ho bisogno.
Datemi le ali della tranquillità e della conoscenza, desidero poter guardare dall'alto coloro che si scontrano, che combattono in nome del petrolio o della giustizia, per il loro dio o per la ricchezza sempiterna, alla conquista di terre lontane o alla ricerca di una cultura che poi disprezzeranno.
Desidero osservare nel cielo le genti che lottano per un pezzo di pane, quelle che si pongono sopra le altre nel nome di dio o della divinità del denaro, gli uomini e le donne che si scontrano per un ideale, quando quell'ideale non esiste più, quando le grandi azioni vengono dimenticate e la ragione è sostituita dalla forza bruta e dalla dialettica.
Voglio consolare gli spiriti persi nella pazzia, che nuotano senza meta, riunire il mondo sotto la bandiera della scienza, quella vera, consolidata da una congruenza filosofica quanto matematica, tanto letteraria quanto matematica.
La ragione ha preso il controllo, datemi le ali della calma per volare nel cielo, dove non esistono nè guerre nè opinioni nè false idee, create dalle persone per il puro controllo.
Il mondo non esiste, pura follia della ragione.
Riconsiderate le parole, analizzate i vostri testi sacri, bruciate le vostre enciclopedie e una volta tanto, amatevi.
Pensateci.
Nell'alto dei cieli, dove ora volo in compagnia di un Dio che non c'è.

lunedì 18 febbraio 2008

Lacrime d'amore, lacrime di coccodrillo

Come secondo tema, dopo la religione e quel miscuglio di frasi che ho postato, denominato "articolo", penso che un ottimo argomento su cui discutere sia l'amore.
E poi ho una storia da raccontare.

Non l'amore platonico, tantomeno un amore che riguarda me, nemmeno un amore per un argomento, come scusi, signore con la barba bianca laggiù? "zi, Amore per Dio"? Chiuda quella boccaccia e legga in pace; dicevo, un amore che riguarda due persone, che chiameremo per gioia dei palindromi Otto e Anna, un ragazzo e una ragazza che si amano, ma non lo sanno.

Sì. Il tema fondamentale è che non lo sanno. Parlando io come voce narrante, se avete studiato un minimo di narrativa, saprete che io sò più dei protagonisti. Non sono onniscente, ma in questa materia ci vado vicino ecco.
Otto ama Anna (viva le figure retoriche tristemente note), solo che non è sicuro. Potrebbe dichiararsi all'amata, ma un pò "ha paura" (parole testuali di Otto, di significato sconosciuto) e si preoccupa per cosa dovrà fare dopo, chessò, con quali ragazze potrà parlare, i limiti. Come gli ho già detto una volta, forse dovresti prima pensare al lato positivo, per quello negativo c'è tempo.

Anna ama Otto, ma chiaramente è la donna, e anche lei ha due ottime motivazioni per non manifestare il suo amore. La prima è che lei è la donna e giustamente dice che non vuole dirlo lei, perchè nella visione cavalleresca non è certo la donna a dichiararsi. Inoltre ammette che anche lei "ha paura", non saprebbe cosa fare dopo ed è confusa e stressata.

Ovviamente non me ne sono stato con le mani in mano, sono bastardo sì, ma di fronte a queste situazioni sono un pezzo di pane. Ho provato (e non da solo) ad aiutare i due innamorati, ma niente. Forse la paura, forse l'indecisione, li ha sbriciolati e con tutte le occasioni che hanno avuto non si sono mai detti nulla. Nulla. Continuano a vivere da ottimi amici e simil-amanti, ma niente di ufficiale.

Il lato sconcertante è anche che si lamentano (privatamente sia chiaro), dicendo che l'altro non si decide o che loro non hanno il coraggio, vorrebbero stare insieme ma non riescono, non possono.
A questo punto mi viene da dire: Lacrime d'amore o Lacrime di coccodrillo?

PS: la fine del racconto non c'è. Non sò come andrà a finire; se avete idee postate pure
PPS: qualsiasi commento pessimista, trucido o vagamente religioso verrà eliminato seduta stante. O un pò dopo.

Edit. Dimenticavo.

Otto: "Anna, io ti amo."
Anna: "Anche io."
Otto: "..."
Anna: "..."
Otto: "Ci baciamo?"
Anna: "Dopo."
Otto: "..."
Anna: "Scherzavo."