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Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

sabato 17 maggio 2008

Funerali e Preti

Funerali e preti, due cose che secondo il mio punto di vista non vanno molto d'accordo. Oggi, per un disgraziato evento, mi sono ritrovato ad un funerale. Ma non è importante di chi, quando, perchè, no sono domande inutili di fronte all'incoscienza e alla stupidità (o mascherata furbezza?) dei sacerdoti che celebrano questo rito: ognuno di loro, in ogni funerale, si mostra ignorante e direi perfino malvagio, sfruttando un evento così drammatico, così doloroso per la famiglia, per il solo scopo di ricordare ai presenti (che fra l'altro negli ultimi tempi raramente sono ferventi fedeli) quali sono i precetti della "Fede Cattolica" (sì, cattolica, perchè la mia fede è ben diversa).

Oggi il prete, durante la mezz'ora di messa "dedicata" alla defunta (e lo scrivo fra virgolette, perchè di spazi dedicati alla povera morta ce ne sono stati davvero pochi), non ha fatto altro che parlare di come tutti dobbiamo essere fedeli a Dio e prostarci ai suoi comandi (sempre che non siano i precetti scritti da qualche maniaco di grandezza in nome del Signore).
Ma lo scopo della Chiesa in occasioni così tragiche, non dovrebbe essere il più umano possibile, ovvero consolare la famiglia di quella donna? Di ricordare a tutti come è morto Gesù, ma come ha pianto Maria e come i cristiani l'hanno confortata? Non so se credete o no in Dio, non è affar mio, ma la metafora è comprensibile anche da chi ha fede zero.
Un'organizzazione come la Chiesa dovrebbe sollevare i suoi fedeli, non torturarli con le parole e infliggergli dolore, per il solo scopo di consolidare il dominio di un maniaco tedesco (Ratzinger, ndr).

Per quanto posso credere in Dio, non posso credere nella Chiesa. Queste sono le cose che mi deprimono, lo sfruttamento delle persone come giustificazione degli atti compiuti. Che fottuti bastardi, bruciassero all'inferno i servitori di Satanetto sedicesimo.

mercoledì 14 maggio 2008

le Avventure di Fra Injo

Il buio si era impadronito del cielo anche quella notte, mentre la luna era ridotta ad un piccolo spicchio, emanando solo una fioca luce che permetteva a malapena di distinguere i contorni dell'abbazia.
Il muro di cinta era spaventosamente alto, ma le lunghe guerre l'avevano ferito e ora era pieno di buchi, scalfiture e crepe, ma un recente consiglio di esperti in architettura medioevale applicata ai terremoti italici aveva confermato la sicurezza della costruzione.
Il dormitorio era piombato nel sonno ma una luce, proveniente dalla cella 109, secondo piano, terzo corridoio a sinistra, illuminava la parete orientale dell'edificio, disturbando il sonno di numerosi fratelli, immersi in riflessioni spirituali così profonde e complesse da essere chiamate "sogni".
Rumori meccanici interrompevano continuamente la quiete dell'abbazia, ma Fra Injo sapeva come tenere a bada gli altri frati ed evitare proteste o, peggio, torture carnali.
- Attento, il pezzo K35 va montato sotto la batteria non sopra! - Urlò piano Fra Tello.
- Shh, Tello, fai silenzio. Vedi qui? hai il foglio al contrario. - Constatò Fra Injo rigirando il manuale dell'iPod.
Fra Tello, offeso, si ritirò nell'accanita lettura delle istruzioni, pur non capendoci nulla, ma continuando a seguire i comandi del confratello.
- Ma, - esitò Fra Tello - sei sicuro di riuscire a montarle queste casse? -
- Che domande, l'ho visto fare mille volte nei film. Funzionerà benissimo - Sentenziò Fra Injo.
- Se lo dici tu. - Confermò l'altro nella sua più totale ignoranza.
Il più saggio dei due continuò a saldare pezzi, collegare fili e stringere ganci per qualche ora, fino a quando il suo oggetto del desiderio fu completato.
- Spettacolare! - Esultò l'ebete.
Fra Injo teneva nelle sue mani un gioiello della tecnologia fatta in casa o, per meglio dire, fatta in chiesa. Una micro-cassa larga appena due centimetri e spessa uno, con una potenza tale da poter sprigionare un Ave Maria da cinquecento decibel, progettata esclusivamente ad uso clericale, permette di registrare fino a 30Gb di preghiere pronte per la ripetizione, l'ideale per le messe o per le orazioni mattutine; è facilmente inseribile nelle fessure del saio francescano, vicino la gola, e libera dagli obblighi monacali.
Dopo un'ora abbondante di ammirazione, estasiati da quel miracolo marchiato San Steve Jobs, i due si separarono: Fra Tello si diresse verso la sua cella, la 84, primo piano, seconda scala dal piano terra, mentre Fra Injo cancellava ogni traccia del misfatto.

L'alba del giorno dopo, in seguito alle preghiere mattutine recitate con la propria voce, si riunirono i quattro frati molto annoiati: Fra Injo, Fra Tello, Fra Gola e Fra Udolento.
- Che palle. Ieri sera ho mangiato troppo, devo chiedere del bicarbonato a Fra Schetta. - Esordì Gola.
- Fratelli, vi ricordo che oggi è un'altra giornata senza il nostro caro amico Uberto - Disse adirato Udolento.
- Amico mio, sono cinque anni che è morto, puoi anche smettere di ricordarcelo ogni giorno. Considerando che aveva centotrentatrè anni oltretutto. - Sbuffò Injo - Ho cose molto più importanti da mostrarvi. -
I frati furono subito sconvolti dal malvagio piano del fratello. Si fecero spiegare nel dettaglio il funzionamento del lettore MP3 e, fra le critiche di Udolento e l'approvazione incondizionata di Tello, Injo accettò di progettare e costruire altre tre mini-casse per i suoi amici.
Quello stesso pomeriggio si mise al lavoro e, oltre a confezionare pacchettini regalo per Tello e compagnia, registrò con un microfono di contrabbando il Padre Nostro per la messa del giorno (era Domenica). Tentò di ascoltarlo con le cuffie, e l'audio gli pareva perfetto: era pronto per l'opera.
Prima della cena, che avvenne regolarmente alle 19:30 nell'enorme refettorio, pieno di tavoli tarlati, lunghi quanto l'edificio stesso, e pronti ad ospitare centinaia di fedeli, distribuì gli strumenti digitali agli altri francescani, mentre lui stesso indossava la sua micro-cassa; gli altri seguirono le sue istruzioni e collegarono le loro all'iPod, anche se Udolento aveva un'espressione di disdegno sul viso, in parte contrario all'iniziativa. Tuttavia i suoi problemi di memoria e la sua continua stanchezza erano argomenti più che validi per convincerlo.
Terminato il pasto, i frati si alzarono e si riunirono in chiesa, poco sfarzosa e piuttosto essenziale, ma si erano sempre accontentati, pronti a recitare le numerose preghiere previste quel giorno.
L'Abate Cordièro fece il suo ingresso nel presbiterio, camminando ubriaco verso l'altare, dove diede le istruzioni per iniziare i canti.
Con un colpo secco, i quattro frati poco intonati avviarono il loro fedele iPod e, dotati di sistema monofonico impiantato presso la gola, iniziarono a cantare come in un perfetto coro evangelico.
Per molti minuti la situazione fu tranquilla, controllata dagli stop e play del congegno al ritmo della messa, ma al momento sbagliato successe qualcosa di indescrivibile.
Fra Injo, preso dal panico, premette il tasto sbagliato. Mentre tutti i frati si preparavano a inneggiare "Gloria a Dio nell'alto dei cieli", dalla sua bocca (o giù di lì) uscirono le prime note di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin.
Data la spropositata differenza di decibel fra la voce del gruppo britannico e il frate, venne prodotto un rumore sicuramente più potente di un'esplosione atomica, al punto da rompere il 90% delle vetrate lì presenti; altri danni furono lo svenimento dell'Abate (tuttavia non per colpa dei cantanti ma del limoncello), mentre i quattro frati decisamente sfortunati si salvarono solo grazie all'aiuto di Fra Casso, che aveva apprezzato il notevole fracasso. Dall'abbazia furono banditi tutti i meccanismi digitali e a Fra Injo fu negato il permesso di prendere libri a tema tecnologico dalla biblioteca.

Chiuso nella sua cella, Fra Injo scontava la sua pena. 120 giorni con "Gloria a Dio nell'alto dei cieli" sparata nelle orecchie mediante un grammofono vecchio stile. Con tanto (di) Fra Casso, seduto fuori dalla cella per controllare eventuali fughe, fornito di ovatta a volontà.

Malati al Quarzo

Sul balcone regnavano incontrastate le innumerevoli piante di Frank, con le foglie bagnate dalla riugiada che poco a poco scivolava sulle venature e abbeverava gli esemplari delle più remote specie floreali. Nel frattempo le api se ne tenevano a debita distanza, spaventate da un oggetto africano, regalato da Ed all'amico come ringraziamento per l'ospitalità.
Il ronzio delle ali era distante e ora prevaleva il sottofondo musicale Jazz scelto dallo spirito, giusto per ricordare che nella sua cultura rientravano anche nozioni melodiche.
I raggi si facevano sempre più forti e si infrangevano contro la vernice bianca degli esterni e sulla flora, dove la clorofilla ringraziava fischiettando un motivetto molto colorito: luce e acqua, anche quel giorno il francese non si sarebbe dovuto preoccupare della salute della sua piccola serra.
Tuttavia non erano quelli i problemi a cui pensava quella mattina; sdraiato sulla sua amaca, cercava invano di distogliere la sua attenzione dalla chiarezza con cui ormai vedeva le cose.
Nulla gli pareva più complicato, le immagini erano sempre limpide e cristalline, le persone erano così comprensibili, tuttavia si domandava come tutto ciò, chiaro e trasparente, gli potesse essere così difficile da accettare. "Ti abituerai. Immagino che, come qualsiasi sensazione, prima o poi passerà." Rispondeva sempre Edgard.
Poco dopo, in accappatoio, Frank sceglieva nel suo enorme e spaziosissimo armadio della camera da letto quali vestiti indossare per uscire quella mattina. I blue jeans erano una scelta tanto scontata quanto perfetta, quindi per la parte inferiore non aveva dubbi. Nella crociata fra T-Shirts e camicie le ultime prevalsero nel nome del signore dei bottoni, così fu presa una camicia celeste dall'apposito cassetto. Dopo un rapido sguardo alla finestra, constatato il dominio del sole, il francese parteggiò per una giornata senza giacche o felpe, mentre completò il tutto con un paio di Converse estive e leggere.
Lo spirito chiuse la porta alle spalle del francese che si avviava giù per le scale. "Amo scendere dal quarto piano, ma quando ho comprato la TV al plasma, i miei muscoli avrebbero tanto voluto un ascensore." Disse una volta il suo vicino del piano. Al piano terra numerosi quotidiani imploravano di essere letti pur di non essere macerati, ma quella mattina Frank aveva già letto. E poi è tutto così banale sui giornali.
Il venticello che soffiava per il boulevard non gli impedì di accendersi una sigaretta. Ed non tollerava che il suo coinquilino fumasse, non per i danni alla salute, piuttosto perchè riteneva che il fumo creasse interferenze durante i loro dialoghi.
A piedi si diresse verso la via dove lavorava. Frank aveva un negozio di orologi, ereditato dal padre, pieno di vecchi cimeli di notevole valore, strumenti paleocristiani, pendoli della prima guerra mondiale e rolex cinesi, venduti a caro prezzo a qualche aristocratico troppo fiero di se.
I suoi dipendenti lo chiamavano "Zurich" per la precisione con cui lavorava e per riderne pensando al nome-ossimoro "Frank Zurich".
Apriva personalmente il negozio ogni mattina, e nessuno poteva entrare se lui non dava il permesso. Si occupava personalmente dei pazienti più complicati e, dotato di bisturi e pinzette, rimetteva a nuovo anche gli orologi più disperati.
Quel giorno però il suo lavoro gli sembrava più facile, illuminato da una nuova lampadina nel suo cervello. In quel momento però avrebbe preferito avere un faro. Il buio più totale calò sulla città, mentre dei suoni minacciosi uscivano dal suo negozio: rapidamente, prese le chiavi, si tuffò sul lucchetto e lo aprì in un istante. In un attimo fu dentro dove una luce fioca illuminava un orologio sul tavolo di vetro. A passo lento si avvicinò, guardandosi intorno: non c'era nessuno. Era a un metro dal meccanismo a lancette, quando da lì partì un colpo di pistola che gli trafisse il cranio.
Frank Zurich tirava su lentamente la serranda, ammirando il sole alto nel cielo, con l'animo sconvolto.
Pochi minuti dopo i primi clienti passavano a ritirare i loro malati al quarzo, ignari e felici.

martedì 13 maggio 2008

Il Caffè


Il vento fece sbattere le finestre, mentre il sole dirottava i suoi raggi sullo specchio del bagno, illuminando un ripiano stracolmo di creme, lozioni, colluttori muriatici e saponette al profumo di drago, interrotti da un lavandino circolare di colore bianco, oltre a numerose scatole, pacchettini e confezioni piene di medicine anti-stress, anti-vita e salva-noia, pronte ad essere ingerite o distribuite in bustine effervescenti e variopinte.
Poco più in là il riflesso, unito a un odore alquanto poco stimolante, si diffondeva nella camera da letto, dove i fotoni, ostacolati dalle molecole contenute nelle persiane, lentamente si rafforzavano per sconfiggere la difesa degli atomi e raggiungere la loro meta, un corpo semi-svenuto sdraiato su un comodo materasso.
Sollecitato dalle particelle, si oppose all'istinto primordiale di riaddormentarsi e aprì i suoi occhi, specchio dell'anima ma in quel caso rappresentavano molto meglio la sua stanchezza. O il suo terrore: una figura tanto angosciante quanto orribile (ed oltretutto produttrice di quell'odore) proiettava la sua ombra sul muro intaccato solo in parte dall'orda di fotoni spavaldi; tuttavia l'immagine a colori in tre dimensioni che antecedeva la parete era molto, molto peggio dell'ombra.
Rapidamente le tapparelle esplosero, i timpani si ruppero e la casa crollò.
Poco dopo un dolce odore di caffè giunse alle narici di Frank, imbrigliato nelle lenzuola, le quali non nascondevano il suo profilo poco ottimale. Con molto coraggio posò i piedi per terra, mentre con incredulità toccava la finestra e tirava su le tapparelle, ammirando il panorama di Parigi dal 4° piano dell'edificio. Ancora integro.
La vita tornava a scorrere nelle pareti, e mano a mano la luce prevaleva sulle tenebre, rivelando il colore giallignolo della stanza. Era già in bagno, dopo essersi sciacquato la faccia e avventurato nella giungla di tubetti e lozioni, che ormai coprivano anche le splendide maioliche bianche e turchesi di notevole prezzo. Le marche delle multinazionali erano riuscite, ancora una volta, a coprire un tripudio di artigianato.
Percorse il corridoio dove salutò i quadri, i quali ricambiarono molto amichevolmente, dirigendosi verso l'ultima barriera che lo separava da una sostanziosa colazione: la porta della Cucina. La tazza di caffè, tipicamente napoletano, di quelli stretti, emanava nella camera un'odore forte e vivo, come per rianimare una casa crollata di notte e rinvenuta con i primi bagliori del mattino.
Le porte a vetri erano aperte e conducevano nel balcone condiviso con la camera da letto. "Un bel balcone, così largo che mi domando se non sia quella la vera casa", aveva commentato una volta Edgard.
Edgard era il migliore amico di Frank da quella notte, scelto fra gli spiriti e estratto a caso dai pensieri contenuti nel cuscino. Era andato ad abitare con il francese immediatamente, pronto a mettersi alla prova con un essere umano, anche se non poteva evitare di ritenersi più saggio di qualsiasi forma di vita "intelligente".
A dispetto del nome, Edgard era un italiano doc, dotato di numerose conoscenze tecniche, scientifiche e letterarie, esperto di cucina e, naturalmente, vero maestro del "Caffè Stretto". La convivenza forzata fu presto accettata da Frank, che ormai condivideva con Edgard i suoi pensieri, i suoi sogni, le sue idee politiche e non, riflessioni sull'aldilà (poco tollerate dallo spirito) e commenti liberi sulle notizie quotidiane.
Una sorta di assistente personale disponibile 24 ore su 24 e, soprattutto, così privato da essere visibile solo a lui.
- Sai Ed, - così lo chiamava Frank - questa notte ho fatto un sogno. Un'ombra (tema ricorrente, osservò acutamente l'italiano) si stagliava sul muro e poco dopo la sua vista, catastroficamente orripilante, il mondo finiva. -
- Beh, - cominciò Edgard - non è un sogno così strano. E' probabile che il mondo più prima che poi finisca, e non è detto che tu non ci sarai quel giorno -
- Ma quella figura era così strana, perchè ha scelto me? - Insistette Frank.
- Forse non ti ha scelto, forse non è nulla, forse è un presagio o forse avevi mangiato troppo ieri sera - Commentò filosoficamente l'amico.
- Comincia a studiare un pò di arte culinaria, così qualche causa la eliminiamo - Disse ironicamente il francese.
Edgard lo guardò minacciosamente, ma il suo coltello da cucina tagliava solo le carote e rapidamente sul suo viso tornò lo sguardo allegro di sempre. L'altro continuò a sorseggiare il caffè, poco alla volta, alternando la lettura di qualche notizia di cronaca alla critica di varie pubblicità.
Un altro giorno era iniziato, il sole splendeva sulla capitale della Francia e le pulsazioni al minuto di Frank erano aumentate di numerose unità.

lunedì 12 maggio 2008

Boulevard

Tanto tempo fa, in una paese non molto lontano, no guardate, proprio vicino ma così vicino che è proprio qui quasi, viveva un uomo di nome Frank, di cui si narreranno le numerose avventure in questo blog, per passare il tempo, per sentire ancora il rumore del mare in una conchiglia ormai rotta.
Frank passeggiava per una via francese quella sera, inebriata dal profumo della città, ma giungeva ad un naso raffreddato, stremato da quella vita e da quella monotonia.
Il boulevard era costellato di lampioni, forme cilindriche che culminavano in una forma sferica illuminata come neanche le migliori lampadine al neon o all'argon sanno fare. La città quel giorno era nel pieno delle sue forze, decisa a influenzare in un modo o nell'altro lo scorrere lento e triste dei giorni.
Una ad una le luci si spensero, come se si stessero preparando a far entrare in scena qualcosa di spettacolarmente maestoso, un'entità dalla potenza catastrofica e benigna. Il nostro eroe rapidamente si accese una sigaretta ma non nascondeva la sua agitazione. Ma rimaneva lì, comunque, irremovibile e pronto ad andare avanti.
Pochi attimi, più indefinibili che indescrivibili, lo sconvolsero. Era deciso, da quel giorno egli sarebbe stato Frank Boulevard.
La notte lo accompagnò a casa e il suo cuscino si preparò ad ingerire i pensieri sconsolati rianimati da un atto inaspettato.
Persone, cose, amici, strade, qualunque cosa che egli potesse immaginare gli pareva ora più chiara.
Tutto un sogno.
Anche quella notte le lampadine da 150 Watt avevano cambiato un'altra vita.