Welcome!

Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

sabato 12 dicembre 2009

Pensieri #1

Mai mangiare le M&Ms con il cappuccino, specialmente in stazione: E' un buon accostamento ma quelli accanto a voi vi guarderanno strano e dovrete tenervi stretti il portafogli.

Il giorno in cui andrai a fidarti dell'autobus, puntualmente non passerà. L'ha già detta Murphy vero?

Non ci sono abbastanza libri su Fabrizio D'André, o almeno ne pubblicano pochi, eppure vendono innumerevoli tomi su tutti i segreti di Twilight; compreso il fatto che lui le chiede di sposarlo.
(Se ancora non lo sapevate vuol dire che non avete facebook o che non avete amici che hanno facebook, il che non vi rende possibili lettori del mio blog e contemporaneamente persone che sanno cos'è Twilight. Anche se avere facebook di per se non è intelligente, e sapere cos'è Twilight è dovuto ai Mass-Media, ma sono altre storie.)

Posso bere n mojito sembrando n/3 volte più figo e n/2 volte più rincoglionito.

Mai invitare un anarchico a uno spettacolo che ha come argomento la guerra e soprattutto, per carità, mai farlo partecipare alla discussione che segue. Sicuramente dirà qualcosa particolarmente d'effetto, che tutti dimenticheranno dopo cinque minuti, dal momento che sarà uno stupido cliché, rendendosi un perfetto imbecille.
Effettivamente, molto meglio invitarlo.

Comincio a capire le barzellette sui carabinieri. Per caso ne hanno fatta qualcuna su una dell'arma che prende il biglietto per Firenze Rifredi al posto di Santa Maria Novella?

Anche quelle sulla questura hanno un senso, dato che un milione di persone al No-B Day sono diventate 90.000. Davvero un labor limae di fino.

Quando ti accorgi di essere cambiato, sei già diverso.

"Ci sono davvero tante canzoni sulle delusioni d'amore."
"Troppe."
Mi sembra quasi ci sia un business dietro, dischi venduti per piangerci sopra. Poi c'è da considerare il sottile confine fra bastardo e artista, ma ci passo sopra. Solo per questa volta eh.

Le persone sono strane. Le donne ancora di più, o almeno, per un uomo. Per un uomo le donne sono tanto strane. Un uomo, a prescindere, non può capire una donna. E questo vorrei sottolineare, non esclude che le donne siano troie, ecco è solo un'altra considerazione. Questa è dedicata ad un mio amico, che lo sa bene.
Poi ne incontrai altre, e ci tengo a far notare anche che il fallo, per quanto giri voce che sia disprezzato dalle donne, è molto amato. Molto. Meglio smentire quelle voci che dicono che le donne sono tutte caste e pure sennò davvero i ragazzi di oggi non credono nemmeno sia possibile andarci a letto con una. Fidatevi, è possibile ragazzuoli. Dovete solo trovarne una che sia già incasinata.

E fumare non serve a rendervi più fighi, no, non pensateci nemmeno. Può rendervi brutti, semmai, o offrirvi uno spunto di conversazione, oltre al tempo e a quel meraviglioso programma in Tv l'altra sera, ma non può farvi sembrare belli.
Semmai fatevi una canna, ma a vostro rischio e pericolo.

D'altra parte non chiudetevi nelle storie d'amore, nei fumetti della Disney, nella felicità propugnata dai cartoni animati, la vita vera non è così. Leggete fra le righe ogni tanto.
Sono quelle cose che possono rovinarvi la vita, insieme all'eroina, i professori bastardi, le malattie autoimmuni, i rasoi bilama, le equazioni in modulo, l'amore, l'eroina (l'ho già detta? Meglio evidenziare), gli amici infami e tutte quelle cose che dicono in Tv ma non a uomini e donne.

Mi piace il silenzio, ma non l'imbarazzo. Lo stare muti quando non c'è bisogno di parlare. Vorrei averlo fatto più spesso. ma c'è sempre tempo per recuperare.

Le storie d'amore di solito sono nonsense, surreali. E particolarmente belle, ma non c'è bisogno di stare in uno schermo perché accadano. Ricordatemelo, ogni tanto.

I genitori separati sono davvero una scomodità. Senz'altro problemi loro, ma problemi miei due volte. Più che altro perché ti ritrovi con un sacco di mancanze. Un esempio? La macchina il sabato sera.

Credo sia necessario provare ogni volta, cose nuove, diverse, spesso si rivelano persino interessanti. Ricordatemi anche questo. (Anche se ultimamente ho evitato l'autostop, ma tutto ha un limite, concedetemelo).

I miei pensieri sono troppo e, anche se banali, sono la mia vita. Li scrivo perché mi va. Se li avete letti, sono problemi vostri. Cioè, i problemi sono i miei, ma potrebbero causare problemi a voi. Succede.









venerdì 20 novembre 2009

Io, gli altri e la mia scacchiera

Non ho mai avuto un rapporto facile con gli altri, sarà perché mi sono sempre sentito diverso e, spesso, inadeguato a tutto ciò che mi veniva incontro, come un inerte sui binari del treno. Sia chiaro: non è che io mi sia sentito inferiore o più sfigato di qualcun'altro, semplicemente diverso, persino un tantino superiore, secondo il classico rapporto angosciante fra autostima e sottostima che mi accompagna da sempre.
Fatto sta che col passare degli anni mi accorgo di come io abbia passato una quantità consistente del mio tempo a ricercare il consenso, a adattare i miei comportamenti in modo che fosse possibile integrarmi nella società senza diventare un esiliato eremitico; quando ci ripenso provo quasi vergogna, perché non sopporto la falsità, figuriamoci l'ipocrisia, per di più la mia stessa ipocrisia, davvero un masochismo intellettuale. Il lato divertente della storia tuttavia non è questo, ma il fatto che ogni azione di avvicinamento spirituale non ha mai portato a nessun risultato, anni di sforzi vani e inutili che potevo comodamente risparmiarmi. Allo stesso modo sarei un bugiardo se mi mettessi a sostenere che l'unica via è sempre e solo essere se stessi, dicendo "tutta la verità" e comportandosi solo secondo il proprio costume: no, so bene che spesso è necessario
portare una maschera, ce ne sono tanti di motivi, per non fare del male a qualcuno a cui teniamo, per non soffrire noi stessi, per evitare rogne. L'importante è ricordarsi sempre di portarla questa maschera, e saperla togliere al momento in cui si rivela necessario.
Con gli anni ho raffinato questo modello, e per quanto io possa sembrare sempre più cinico e infimo, in realtà non è altro che un comportamento dal duplice significato: proteggere se stessi e evitare problemi agli altri; sì anche questo perché quando sei reale levi tanti dubbi e tante domande, anche se non te ne frega molto di levarli.
Devo dire che anche a seguito di tutto ciò non ho ancora risolto i miei problemi con gli altri: ancora mi maschero troppo spesso, non mando a fare in culo chi se lo merita, scrivo ancora post lunghi al posto di dormire per una giornata migliore, insomma mi trovo ancora in una fase squilibrata. Tuttavia mi sento, se non felice, in pace quando vedo le persone che ancora sono attaccate al giudizio degli altri, vivono in funzione di esso, qualsiasi cosa fanno la subordinano all'apparenza, al piacere e all'accettazione; non sono, sembrano. Così a me sembrano solo delle piccole pedine di un gioco più grande di loro, come in una immensa scacchiera; non che io non lo sia ma, io, la mia mossa la faccio da solo.

lunedì 16 novembre 2009

Riflessioni sulla scrittura, l'amore e tutto quanto #1

Effettivamente credo che ci siano ben pochi motivi per cui uno scriva, nelle loro infinite sfumature questo sì, ma le basi sono sempre quelle: una persona può scrivere perché è incazzata, detto molto semplicemente, ovvero prova disappunto per ciò che si trova davanti e con ira o fantasia vi si avventa contro, ce ne sono di modi di scrivere che fanno al caso loro, e inveiscono, si ribellano, insomma manifestano. Oppure hanno delle domande, che spesso sono causate dai problemi, che sono a loro volta fonti di infelicità, un tormento interiore che di smetterla non vuole saperne, e fruga nell'animo rimestando dolori e follia. Non escludo che i due fenomeni possano esseri complementari, ma uno dei due mi sembra proprio essere necessario, a meno che non si parli di redattori di rubriche di gossip o recensori, censori e ipocriti in cerca di successo, che "scrivono" quanto un cane miagola.
Ecco io rientro ampiamente nella seconda categoria, considerando che per molti blogger la logica di base è proprio questa, comunicare emozioni personali evitando di annoiare i lettori alla seconda sillaba.
Mi domando ora, perché la fonte di ispirazione più grande sia proprio l'infelicità che ci attanaglia, la tristezza profonda che l'uomo comprende solo quando prova; a sostegno di tutto ciò potrei elencarvi l'infinita lista di poeti, scrittori, filosofi, sceneggiatori e commediografi con gravi problemi di interazione sociale e drammi psicologici notevoli, ma chiunque ne conosce almeno uno, quindi evito.
A questo punto mi sorge spontaneo domandarmi perché la gente soffra per amore più di quanto possa soffrire per altri motivi. La passione, irrazionale, infelicità incomprensibile, è la sua causa, ma è davvero complicato dare una giustificazione all'amore: è veramente senza senso, così nonsense che mi stupisce il fatto che non sia la base della corrente nonsense inglese.
E così come chi trova l'amore, forse si rattrista un pò, perché smette di provare l'istinto per scrivere che prima aveva, la fantasia del pensiero, della riflessione, l'equilibrio fra irrazionale passione e logica ragione, allora chi non lo trova non può far altro che scrivere, perché si ha sempre qualcosa da dire, qualcosa di sincero e umano che in fin dei conti, è pensare, è vivere.
E stanotte scrivo, mi dilungo in questo post, a cui come avrete genialmente intuito dal titolo, ne seguiranno altri, perché provo un grande senso di "vaffanculo" nei confronti del mondo.
Ma c'è di peggio e da inguaribile ottimista, nemmeno questo mi butta giù.
Così, come fanno tanti di voi, come fanno innumerevoli scrittori prima di andare a letto, in metro, in un salone di un albergo, per liberarsi, per capire se stessi, per empatia, per dissenso, perché esistono e ne sono consapevoli,
Scrivo.

mercoledì 11 novembre 2009

Diciotto, o meglio I




Ok ho 18 anni e, finalmente potrò fare tutte quelle cose riservate agli adulti, come ordinare alcolici, guardare film porno, andare in prigione e evadere le tasse.
Sinceramente sono solo diciotto anni, un numero in più, non voglio fare assolutamente lo scettico, non è nel mio carattere, mi piacciono la festa, gli auguri, le torte, specialmente le torte, però in fin dei conti la gioia è quella del compleanno ed è più facile rimanere delusi da troppe aspettative per una data, meglio viversela come un giorno normale. Almeno chi non si aspetta mai nulla, avrà sempre qualcosa in più di quello che si aspettava.
Pertanto eccomi qui, a spegnere la mia candelina virtuale, mentre penso semplicemente che sono felice. Questo voglio, questo avrò, col poco che mi basta.

martedì 10 novembre 2009

La notte è sconsigliata



Lo so a quest'ora dovrei essere a letto, riposare, aver già studiato la lezione per domani, aver fatto i compiti, aver scritto il post del giorno. Ma, purtroppo per la mia autocoscienza sono indietro col programma: vediamo di risolvere almeno l'ultimo di questi problemi. In realtà non ho scritto perché dovevo studiare, non ho studiato perché dovevo andare dal dottore, perché sono un fottuto mortale e ho ancora la capacità di ammalarmi. Forze maggiori, e poi la salute viene prima di tutto, anche se il mio dottore ha rotto il cazzo, perché mi fa "sono 100 senza fattura 150 con", brutto infame, se l'iva è del venti percento quei 30 euro cosa sono, la tassa sulle stronzate che dici? No perchè anche io ne avrei da dirne, ma di solito mi sfottono, non mi sganciano 150 euro. Ma sono un cerotto e ci sto, anche se mi prometto di insistere la prossima volta, e magari passo dopo passo qualcosa la raggiungo; in fin dei conti è pur sempre un dottore, diavolo il mio dottore, e per un sano istinto di sopravvivenza preferisco non farlo adirare, anzi, se sta leggendo dottore sappia che speravo proprio che non lo facesse perché è tardi ho problemi alle connessioni cerebrali le sinapsi si sono giocate i ponti chimici, insomma non sono proprio lucido. Vorrei concludere con una piccola osservazione: oggi non ho studiato, mentre mi sono dedicato a tecniche cinematografiche e riordino di librerie musicali: sono piuttosto contento di ciò ecco, questo secondo me è l'indice che le scuole funzionano così male da farti dimenticare ogni gioia dello studio.
Un fanculo a chi se lo merita e un abbraccio a chi lo vuole; così voglio a dare a riposare.
Notte blogosfera.

venerdì 6 novembre 2009

Parlare del tempo

A volte un'altra cosa che può stupirti quando ti alieni dal mondo e lo osservi con gli occhi di un estraneo è come le persone si assomiglino così tanto quando non si conoscono, come l'istinto umano sia incredibilmente analogo a quello degli altri. A dire il vero lo trovo rassicurante.
Nulla tuttavia è più comune dell'approccio standard che ravviva o fa nascere una discussione fra parenti lontani, amici dimenticati, vicini di posto, ovvero il Tempo: la meteorologia sembra essere la scienza più amata dagli attaccabottone, non c'è nulla che viene tirato fuori più spesso del meteo del giorno, negativo o positivo ("che bella giornata!", "oggi piove di brutto eh.."), e porta sempre a dialoghi che possono essere imbarazzanti ("eh.. sì.. davvero.."), ma anche vagamente coinvolti ("sì, e pensare che davano bel tempo per oggi!"), anche se dipende più dal carattere che dall'effettivo interesse, più un buonismo nei confronti di qualcuno che vorresti evitare di mandare affanculo, dato che il fato ha un modo diversamente ilare di sistemarci la vita, tipo potrebbe essere un avvocato in carriera che ti denuncia e, effettivamente, sarebbe inopportuno ficcarsi nei guai così a prima vista.

Ad ogni modo, sono discussioni che alla fine servono o per passare il tempo con qualcuno, o per introdurre un discorso più profondo con un'altra persona: sono inutili, ma fondamentali, e toglierle porterebbe a più danni che vantaggi, si finirebbe con il rendersi odiosi a pelle, essere scambiati per maniaci o per investigatori privati, insomma, un disastro.

Quindi non mi sconvolgo più di tanto quando le persone parlano per minuti e minuti del tempo, anche se sono entrambe imbarazzate e non danno peso a ciò che dicono, perché l'uomo alla fine si è evoluto così e ha trovato in tutto questo una, per quanto stupida, scappatoia, al suo pauroso egocentrismo e isolamento, salvaguardando un bisogno di comunicazione che, se non innato, è necessario.
Sono divertenti i dialoghi, poi, se pensi che chi ti stia parlando non sia solo un coglione, ma una persona, umana, come te, e prova più o meno quello che provi tu, il tuo disorientamento, anche se in un contesto diverso, ed è vicina a te perché, per quanto differente, cita anche lei il meteo del tg5.
Siamo tutti simili, in fin dei conti.
E parliamo del tempo.

giovedì 5 novembre 2009

Anche tu

Non credere di sfuggire. Non credere di eludere le parole, non credere di esserne immune, non si sfugge. Colpiscono, tagliano, feriscono, possono farlo con chiunque, diretto, implicito, ironico, sarcastico. Ammettilo. Non pensare di essere diverso, forte, migliore, perché quelle non guardano il tuo nome, guardano solo chi sei davvero. Non si fermano al volto, al cognome sul curriculum, no, sono profonde, sincere, taglienti come rasoi, e quando scivolano sulla tua pelle non puoi evitarle, perché non sono cattive, sono solo vere. Come lo so io, lo sai anche tu, come feriscono me, feriscono anche te. Mi fanno male, ti fanno male. E' un'arma a doppio taglio, ma inevitabile, ed è inevitabile il dolore che porta.
Inutile sentirsi peggio, anche se non mi interessa: perché non sei mai solo, anche quando non c'è nessuno a dirtelo. Anche tu.

mercoledì 4 novembre 2009

Oddio, sono uno stereotipio.

Non è semplice essere quello che solitamente si indica con "anticonformista", ovvero quell'individuo che non si adegua alle regole e tenta di ritagliarsi il suo angolo di mondo in uno spazio dove si è oppressi da stereotipi, banalità, stronzate in generale.
La cosa peggiore è che qualsiasi cosa facciamo sembra come essere un gesto alternativo quando, in realtà, è più normale di quel che si crede; anche le stesse parole, le nostre espressioni, quante volte sono modellate, pur inconsciamente, sui versi, le frasi, i concetti di altri? Neanche a volerlo, è difficile essere se stessi.
Allora, se hai il dubbio, magari cominci a pensare, a riflettere su chi sei, su quello che dici, su quello che pensi, e cerchi di tenere distanti dalla tua testa le idee dei "grandi", ma non ci riesci ed è allora che ti senti un pò sconfortato, deluso da te stesso, oppresso dal tuo ego più di quanto non credevi.
Vedi poi quello che hai fatto, che hai voluto, in cosa hai sempre creduto, anche qui vedi quel collegamento, quel riferimento, e cominci ad arrovellartici sopra, stile fumetto-ingranaggio di Archimede Pitagorico, saltando da quel nesso all'altro.

Ecco, a me sta sul cazzo quando la gente, arrivata a questo punto, si rattrista.
Perché, santo dio, l'animo umano è uno, non è così differente in fin dei conti, e tanti pensieri più che essere espressi da quella o quell'altra persona, sono solo idee chiare e nette che tutti possono condividere senza dover pensare a pregiudizi o critiche: non c'è bisogno di andare lì a colpire, bianco o nero, "sei di sinistra? Ah, comunista", "Hai visto twilight? Ahah, coglione!", "Credi in Dio? Bah sei un cattolico del cazzo". Davvero, basta, è noioso, non potete schematizzare le persone, rinchiuderle in categorie prestabilite, ci hanno provato filosofi per migliaia di anni e cosa gli è uscito fuori? Quintali di stronzate senza senso. L'uomo è vario, e nella sua varietà rientrano anche idee che, santi numi, su miliardi e miliardi di persone, anche qualcun'altro può aver già pensato: è normale.
Vivete in pace con voi stessi prima di fare la guerra con i fantasmi del passato.

Però non chiedetemi di dire che Twilight è bello, per favore.

martedì 3 novembre 2009

Il gatto che mette il pomodoro dove non deve

Ci sono dei dietro le quinte nella monotonia di ogni giorno che a volte, quando li prendo in considerazione da soli, isolati dal contesto, riescono a stupirmi. E la cosa che mi sconvolge di più è sicuramente l'uso delle parole, la combinazione delle frasi l'uso accurato delle allitterazioni e della fonetica per produrre espressioni geniali, assurde.
Solitamente tuttavia, le frasi sono giudicate per il loro significato più che per il loro suono, com'è giusto che sia: classici sono gli esempi, che saranno capitati più o meno a tutti, dei giochi che consistono nel ripetere a lungo una parola fino a non vederne più il senso, o gli accostamenti di parole che portano a uno sconvolgimento di significato ripetendoli fino alla nausea.

Ogni tanto però è bello anche vedere le parole per quello che sono, accostamenti di segni e fonemi, un gioco di vocali e consonanti, di immagini evocate che possono essere accostate nella mente nei modi più improbabili e magari divertire, rallegrare.
Pensate a questa frase: "Il gatto che mette il pomodoro dove non deve", non so, ha un senso sì, ma è ovviamente una frase impossibile, inutile. Ma porta quasi un sorriso, il cervello esce dagli schemi, almeno il mio.
Sì ho una fantasia elastica, ma mi è sempre piaciuto così, un pò bambino senza limiti di età.

Ecco, io mi immagino un gatto umanizzato, sapete, in piedi e con le manine, che cammina con le zampette stile gabbianella e il gatto (il film chiaramente, o la copertina del libro se avete presente), e prende in mano questo pomodoro tutto stilizzato, ma che ovviamente si distingue chiaramente: a questo punto, la scena clue è quella del pomodoro che entra in una specie di cassetto di una scrivania assente, secondo un'animazione variabile, tipo un lancio da giocatore di baseball o un movimento furtivo alla dungeons&dragons, e il gatto che sospettosamente si guarda in giro, per poi fuggire.
Ovviamente si susseguono visi sempre diversi, a volte con contorni netti a volte con occhi da fumetto, ma è il bello del pensiero.

In fin dei conti quell'attimo in cui ho realizzato tutto ciò mi sono sentito meglio.
Senza motivo più o meno, un pò per il sorriso strappato, un pò per il cervello impegnato, un pò per i ricordi smossi, ma mi sono sentito meglio.
Basta poco a volte, già.

lunedì 2 novembre 2009

Virtus in medio stat

Sinceramente io ci credo, in Dio. Ma non è per questioni religiose, no, nemmeno perché sono un ciellino del cazzo o un testimone di geova, sia mai, è solo per un motivo umano. Umanissimo.
E' lo stesso motivo per cui non mi piace il nichilismo, per cui non approvo il materialismo, per cui mi fa incazzare chi crede che nulla sia importante nella vita, per cui mi fanno arrabbiare quelli che guardano uomini e donne, quelli che prendono la vita con così tanta leggerezza quasi da non vivere.
Il fatto è che io, per quanto in fin dei conti non ci creda in un'entità superiore, ho quasi paura che la gente, pensato questo, possa fare il passo successivo e dire: "allora tanto vale fare quello che ci pare". No. Io sono un eterno romantico, inteso nel senso più letterario del termine, io credo nella solidarietà dell'uomo, credo nel cinismo usato come arma contro il buonismo ma non come prologo all'eterno nichilismo, credo nella illusioni come speranza ma non come meta di vita.
Temo a volte che la gente, dopo i troppi valori che ci sono stati rifilati negli anni, possa giungere a un fenomeno diametralmente opposto, a rifiutare ogni tipo di valore, e questo mi demoralizzerebbe davvero tanto, troppo. Certo, se l'ho pensato io lo possono pensare tutti e giungerci tutti da soli, direte, ma dare ogni cosa per scontata non mi piace, no per niente.
Virtus in medio stat.

domenica 1 novembre 2009

Realista

Mi piace pensare che tutto abbia un senso, credere di essere un'idealista, rifugiarsi nelle proprie idee, illudersi di felicità, tutte cose abbastanza tipiche nella società e nella storia, tuttavia c'è un problema: sono anche un fottuto realista.
E' difficile provare a conciliare due concetti, specie quando per definizione sono opposti e pertanto inconciliabili, quindi nemmeno ci provo.
Oggi mi sento realista, e mi stanno sul cazzo le fantasie, e i sogni. Li odio, oggi sono in vena di insultare pesantemente ogni frutto vano della nostra labile mente.
Sì, labile perchè provo riluttanza per tutto ciò che è falso, astratto, un arteficio umano futile e odioso, prodotto da noi, incapaci di accettare quello che è, lontani dal vedere con lucidità la nostra vita, portati a desiderare con estrema impazienza lo stereotipo che ci viene rifilato, siamo ligi alle regole quando le regole sono sbagliate, liberi da limiti quando i limiti sono necessari.
Non è giornata per propormi una scommessa, perché giocherei comunque, giocherei come ne ho voglia, ovvero a qualsiasi prezzo.

venerdì 30 ottobre 2009

Ridere a briscola

E' come se in giro ci fosse una sorta di scala delle risate. Non è facile far ridere le persone, non sei sempre lo stesso quando provi a farle ridere e soprattutto, non tutte ridono e, se lo fanno, non ridono a tutto. E' difficile, ma c'è sempre il caso fortunato.
Ad esempio c'è il momento in cui ti serve un umorismo raffinato, di classe, la battuta cinica e tagliente da giocarti come l'asso di bastoni quando è briscola; e come a briscola funziona meglio se gli altri caricano, si sa la risata è contagiosa.
Ma non è uguale con tutti, c'è anche il momento in cui c'è bisogno della battuta che ti faccia imporre, che consolidi il tuo status quo, vigorosa ma ilare al punto giusto, cocktail perfetto di sagacia e bravura, quella va giocata come il tre di bastoni.
E come dimenticare l'appoggio, i punti, i carichi che fanno tirare una risata dopo l'altra.
Ma bisogna anche saper andare di liscio, perché in fin dei conti puoi prendere anche col cinque di spade.
L'importante è che devi sempre bluffare, anche se non hai briscola, perché il tuo avversario non lo sa, e ridere non è un gioco da nulla, è complicato, e ci vuole maestria. Inoltre, a differenza degli altri giochi, quando vinci nessuno ci rimane male.
E ora voglio un carico, diamine.

giovedì 29 ottobre 2009

Non capisco

Ci sono tante cose che non capisco in questo mondo in cui non mi identifico, in questa vita che non condivido, in questo paese che non mi aggrada. Ad esempio non capisco perché le persone si fissino così tanto coi loro obiettivi da dimenticarsi dei loro ideali pur di raggiungerli, ecco, non so per quale strano motivo nei balenanti pensieri la gente si dimentichi all'improvviso di una vita per un attimo; poi mi viene pure Leopardi a dire che il piacere è un attimo, ed è finito, e finirà sempre, ecco, forse capisco perché quell'attimo è così importante, ma è pur sempre un attimo. Non so se mi giocherei una vita contro un attimo di felicità.
Poi non capisco perché le persone riescano ad innamorarsi così tanto da odiarsi, al punto da giungere a odiare una persona perché lo si ritiene inevitabile, e non si trova altra giustificazione se non "il mondo funziona così", però se ci pensi bene lo sai che il mondo è vario, e le regole sono come fiocchi di neve, sempre diverse, ma non ti basta e continui a odiare, e amare.
Poi d'altra parte non capisco come si possa dire ipocritamente dire di amare quando lo si sa da se che non si ama; ok, escludiamo al più i casi di vero vagheggiamento, ma ci sono volte che una vangata in faccia ci starebbe a pennello.
Non capisco perché tutti si vogliano bene quando poi si vive sempre soli.
Non capisco perché scrivo quando sono triste, ma credo che tanta gente dovrebbe farlo.
Non capisco, ma lo faccio, e basta.

martedì 20 ottobre 2009

Solitario

A volte sono riluttante ad ammetterlo, ma è inevitabile, sono un tipo solitario. Preferisco spesso essere quello del gruppo che sta lì a pensare, rimuginando su chissà quale idea, mentre gli altri parlano del più e del meno. Sono fatto così. Ciò non vuol dire che odio la compagnia, no, capiamoci. A me piace, e anche molto, parlare con gli altri, il fatto è che si è eternamente egoisti in questa terra, e alla fine mi ritrovo a riflettere sugli altri la mia mente, quindi oggettivamente mi critico e ammetto di essere solitario, così per togliere dubbi.
E' questo anche il motivo per cui mi ritrovo a passeggiare, da solo, il motivo per cui sono spinto a mettermi le mani in tasca e incamminarmi per quel viale, pur senza senso.
Il motivo per cui, in realtà, non sono solo ma solitario è il motivo per cui penso: a cosa volete rivolgere i vostri pensieri se non agli altri? Alla fine da soli non si è nulla. E' per questo che sono spinto, dal mio essere introverso al mio essere estroverso. Egoismo? Solidarietà? Chiamatela come volete, ma alla fine ci guadagnano tutti. E preferisco così.

sabato 17 ottobre 2009

Io amo sfogliare i libri

Sfogli un libro, prendi qualche pagina, e poi riaffiorano dei ricordi. Ti ricordi di quando lo leggevi, di cosa hai provato, ma non è solo ciò che sa dirti l'autore, è quello che hai visto dentro i versi, quelle frasi, così nel tuo cervello si formano associazioni, collegamenti trai più disparati.
E rimembri tante cose, tante che magari volevi dimenticare, che invece ti porti appresso nel bene e nel male, ma più nella seconda perché quelle emozioni ancora fanno male.
Magari ci fai un pensierino sopra, dopo esserti fermato a leggere qualche riga, e riprendi a scorrere le pagine, domandandoti perché hai iniziato a leggerlo, quel libro, cosa ti diceva la testa, e riafforano sempre di più quelle immagini che hai dentro, che avevi nascosto o semplicemente dimenticato.
Alla fine però, chiudi quel libro, dicendo che sono solo ricordi, e per quanto gravi, appartengono solo al passato.
Poi lo riponi, e ti chiedi che senso ha, mentre il tuo cervello ritorna a pensare a quei fogli. Ma con fantasia.

venerdì 16 ottobre 2009

Quel bastardo del mio cane

Quel bastardo del mio cane mi ha morso il naso, e non credo volesse giocare a "chi ti ha preso il nasino", e anche fosse, lo dovrebbe sapere che quel gioco mi ha sempre fatto girare i cosiddetti. Poi dicono che gli uomini maltrattano gli animali, ma quando gli animali maltrattano le persone?. E pensare che gli volevo bene a quel piccolo ricchione. Vabbeh.

giovedì 15 ottobre 2009

Paesino di collina

L'aria di un paesino di montagna, anzi più precisamente di collina perché in montagna fa troppo freddo, è magnifica, specie la mattina. Non tanto presto, magari giusto il momento dell'alba da godersi appieno, però poi la sensazione di umanità, il sentir scorrere la vita di una cittadina e notare come al tempo stesso tutto sia calmo, pacato come ad assecondare il tuo ritmo, questo te lo puoi godere appieno solo verso le undici, magari di una giornata autunnale. Col sole.

C'è il brivido del fresco pungente, ma c'è anche il tuo cappotto che ti scalda, c'è il venticello che muove le foglie già cadute, ma vedi anche il sole nel cielo come a equilibrare il tempo. Forse è la duplice sensazione che più apprezzo, quella di sentirsi sia membro della globalità, sangue nelle vene di cemento, sia quella di osservare il paese e commentarlo come se tu ne fossi al di fuori. Immergersi dentro al verde del parco, al giallo delle foglie, al grigio dell'asfalto, al bianco delle case, e poi riemergerne apprezzando quel colore lì e quella forma là, giudicando le persone, ipotizzando, pensando e poi rituffarsi perché spinti dalla curiosità e tornare a guardare, a camminare, ad agire.

E' particolare l'emozione che ti da girare per le vie di un paesino. Ed è molto bella. E' Viva.

mercoledì 14 ottobre 2009

L'Indifferenza

L'indifferenza è un sentimento piuttosto particolare, e lo è ancor di più quando ti accorgi che accompagna la tua vita e ti domandi da dove diavolo sia sbucato fuori, solo che non lo sai, non lo puoi sapere perché fa così, l'indifferenza, un giorno non ce l'hai e il giorno dopo ti ritrovi cinico e distaccato.

A dire la verità, non lo ritengo neppure un male, insomma: fino a quando ti evita di roderti l'anima per qualsivoglia motivo, non ci trovo nessun problema, anzi, si rivela essere una preziosa arma necessaria a combattere la vita quotidiana a colpi di accettazione e menefreghismo.
È vitale in particolare quando riesci a sopravvivere in un colpo solo a drammi fisici (come la tua salute che si è appena presa una vacanza per le honolulu e ti abbandona nel bel mezzo del giro delle influenze) e psicologici (come il tuo cuore che non ha ancora capito un cazzo di cosa deve fare con le donne), lì ti accorgi davvero di non poterne, di non volerne più fare a meno.

Sia chiaro, non sto elogiando il tipo che sta sdraiato tutto il giorno domandandosi che scusa inventarsi oggi o il bastardo di serie A che se ne frega dei tuoi problemi: è diverso.
L'indifferenza è fredda, ma non vuol dire che la tua vita lo sia. E' solo che ci metti di meno a smaltire rabbia, passioni e rotture di cazzo che altrimenti ti attanagliano il cervello tutto il giorno rovinandoti altre ventiquattro ore della tua preziosa esistenza, i problemi non ti straziano e magari sei abbastanza lucido da fare qualcos'altro, intendendo con altro un'attività con un grado di utilità per te stesso barra per il mondo maggiore di un pisolino in poltrona. E magari li risolvi, i problemi.

Poi non so, io preferisco il vivere al pensare.

martedì 13 ottobre 2009

Leggere o meglio vivere

Trovo molto appassionante e motivo principale per cui mi ritrovo ogni volta a leggere ore e ore un blog la mia capacità di immedesimazione nel personaggio; in realtà non entro nella testa del blogger di turno, più che altro è un'esilio dalla propria, un tuffo dentro un mare pieno di pensieri al più diversi da quelli che hai di solito.
Ad ogni modo, ogni tanto, accade che la lampadina del tuo ego si accenda, suscitata da una parola, una frase, un'idea di quello scrittore (sì scrittore perchè tutto questo succede sia che ti immerga in un libro capolavoro o in un diario online) , una sua conclusione amara, vera o magari anche divertente, al punto da sentire una vicinanza, un collegamento che ti spinge ad andare avanti, a divorare pagina su pagina tutto quello che ha da dirti, anche se ti sembra poco attinente, non importa, perché ora sai che c'è quel filo invisibile, quell'attrazione gravitazionale che ti incolla al monitor o al foglio, in cerca di un altro spunto, un nuovo barlume che ti illumini il cervello, contento del fatto che prima o poi lo troverai.
In fin dei conti non è male leggere così.

lunedì 12 ottobre 2009

L'ultimo pensiero

Se c'è una cosa che voglio che succeda nell'attimo prima di andarsene al creatore, quel momento in cui ti si chiudono gli occhi, non è certamente rivedere tutta la mia vita stile flashback. No no, i ricordi sono andati e poi già la conosco troppo bene. Piuttosto voglio vedermi i momenti migliori di Frankenstein Junior, in particolare la scena del vecchio cieco. Sì quella col mostro che viene praticamente demolito. Così, per sorridere.

domenica 11 ottobre 2009

Solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora

Mi sono rotto i suddetti fondamentalmente di due tipi di persone.

I primi sono quei nichilisti, cinici, bastardi che hanno perso ogni fiducia nella vita, nell'amore, ogni speranza di tirare avanti e si rassegnano nei modi più diversi, come quelli che si concedono all'egocentrismo più sfrenato; per fare un esempio i classici emo da facebook, ma anche tutti quelli che si dichiarano alternativi solo per poi non esserlo e rituffarsi a capofitto nella massa dei depressi cronici grazie al loro autosabotaggio, alla incapacità di capire che se in tanti periodi della storia ci sono stati depressi, disadattati, demoralizzati, è solo perché lasciare trasudare le proprie delusioni in scritti, opere, azioni, movimenti e guerre è il metodo numero uno per opporsi a queste, per risollevarsi; quindi la prossima volta che mi viene incontro un triste ometto dalla faccia pallida, sconfortato da un motivo possibilmente futile, in modo che il mio destro sia ancora più carico del destro che avrei già voluto tirargli, e stenderli a terra in un baleno urlandogli poi frasi rabbiose giusto per aggiungerci il carico da novanta.

I secondi sono quelli che si credono ottimisti, fiduciosi solo perché hanno ottenuto qualcosa che in realtà cos'è? Non è nulla, è questa la verità; mi da fastidio che si scambi qualcosa di valore infimo con i grandi successi che riempono la vita che di solito è un misero barattolino di vetro, un salvadanaio di coccio, fragile quanto capiente. E mi da fastidio la rassegnazione di fronte alla prima occasione, la mancanza d'entusiasmo per qualcosa che invece dovrebbe essere grande, ma è ovvio, se tutto viene preso alla leggera, alla leggera rimane. E così si scambiano le cose, e l'insignificante, il futile diventa grande, importante, magistrale, una pagliuzza di pirite scambiata per oro in un lago dell'Alaska.

Insomma, un pò d'entusiasmo, e intendo sano entusiasmo per ciò che dovrebbe entusiasmare santo dio, non farebbe male a nessuno.

giovedì 8 ottobre 2009

Sul Bus

Il bus, l'auto che milioni di studenti prendono ogni mattina per andare a scuola, dove succedono miriadi di cose, gente che si conosce, che si odia, che si ama, che lega. E' un posto incredibile, eppure le sue storie sono sempre relegate in un angolino, in un pezzetto di film dove viene usato come semplice intervallo; ma l'autobus non è solo questo.

Sull'auto può succedere di tutto, ma sicuramente si fa amicizia, questo è scontato. Conoscerai sempre qualcuno, a meno che l'auto non sia pieno di ragazzi trascinati dalla moda del momento che si divertono a contare le cicatrici sui polsi, ecco in quel caso sarebbe più difficile, ma un'opportunità la trovi ovunque. Alla peggio cambi autobus scuola quartiere città nazione.

Alla fine, invece, quello che ti colpisce di più è l'osservare la sua globalità, il suo insieme senza parlare, guardando e ascoltando la sua voce uniforme, le sue discussioni stravaganti che nascono, quel momento di follia che può nascere solo fra persone che condividono fondamentalmente una sola cosa: l'andare a scuola.
Ed è inevitabile che le disgressioni su ogni emerita idiozia raggiungano livelli abnormi, che si vengano a formare dei veri e propri personaggi, delle comunità nella comunità che si confrontano ogni giorno; e se guardi a fondo nel cuore dell'auto ci vedi di tutto, dall'innamorata che pensa solo al suo amore, al disperato per un compito, al ripetente in cerca di tranquillità ma che non può fare a meno di essere trascinato nel discorso, al cronico coglione che non perde un colpo per rovinarsi la reputazione. C'è di tutto, e un sospiro, una domanda, ti gettano nel vortice della vita dell'auto.

Forse in fin dei conti, c'è solo un'amiciza superficiale, sentimenti vuoti e soprattutto brevi, quando sei sull'auto, ma c'è davvero qualcosa che predomina: la solidarietà, il coinvolgimento, l'umanità. Perchè fra uno scherzo e una battuta, l'auto è la tua famiglia e quando meno te l'aspetti, ti aiuterà.

mercoledì 7 ottobre 2009

La brioche e la barba

It's a long way to vagina

Crescere è una cosa che avviene col tempo, ma ci sono sempre dei buoni consigli che puoi seguire, che magari col tempo rimpiangi di non aver avuto, di non essere stato illuminato prima; poi vedi su un blog, su un signor Blog ci sto, quelle perle di saggezza che hai duramente appreso a stenti, di cui sei più o meno fiero, e ti faresti quasi cadere una lacrima di gioia se non fosse per il motivo che non c'è nulla di cui riderci su. Perché ti rattrista comunque, sapere che la vita non è una favola.

Ad ogni modo, se portare le brioche vale punti-zerbino, sono sicuro che portare la barba funziona al contrario. Mi hanno illuminato anche su questo oggi. Alla fine è semplice e diretto il concetto, soprattutto esplicito: "Io porto la barba, quindi se ci provo con te vuol dire che faccio quel che cazzo mi pare."
E' un pò rude, lo ammetto, però funziona così. Lo zerbinaggio non va, e ripensare a quei momenti in cui ti ci sei applicato, anche con notevole impegno che ti ha portato a risultati zero, ti fa venire i brividi.
Non sono quello che viene a dire "Oh, non l'avessi mai fatto." no, l'ho fatto e sono sicuro che sia stata tutta esperienza, genere "impara l'arte e mettila da parte", così che quando ti ricapita eviti di fare la figura del tappetino del bagno.
Quindi la mattina, se ti viene l'impulso di raderti a zero per provarci con una ragazza, diavolo no, non farlo, ferma quella lama e ripensaci. Quando vuoi prenderti qualcosa, prendila e basta. E porta la barba.

martedì 29 settembre 2009

Auguri Silvio

Con quale coraggio puoi fare una canzone dove canti "Silvio silvio grande è"? Dai, diciamocielo, voi il fegato per farlo non ce l'avreste. Nemmeno io a dire la verità, è qualcosa di falso e sostanzialmente ipocrita, il che mi porta a un giudizio inevitabilmente negativo: è come se prendessi il mio cane e dicessi a tutti "Vedete, lui è un bravo cane, scava in giardino e mi piscia sulle mattonelle, mitico!". Io lo direi con sarcasmo, ma non supporei mai che qualcuno mi prenda sul serio. Sarebbe troppo, e invece lui ci crede, dall'alto della sua statura, ci crede sul serio. Cioè vi rendete conto? "Un nome di pace", quello del conflitto d'interessi. Vogliamo elogiare per caso Bossi come cattolico dell'anno? Ok quello sarebbe più credibile, ma non divaghiamo. Sta canzone è un obrobrio, mi fa venire il voltastomaco. Aspetto presto un rap anti-nobel a base di P2 e patti con la mafia. Tanti auguri Silvio, un anno più vicini :).

lunedì 21 settembre 2009

Tumblr

No, non è una parolaccia nè un neologismo, è solo il nome di un servizio online che offre un servizio di blogging. In realtà ha il vantaggio di essere molto "web 2.0" (per intenderci "ommiodio come è figo c'ha i tastini colorati!"), lasciando la libertà di condividere elementi diversi, dai video ai link, dai post alle foto, una sorta di Facebook serio (ossimori?) e personale. E con i temi.

Ero abbastanza convinto a dir la verità, quindi mi son detto: "Ok, proviamolo". Ci sono andato, sul serio, e mi sono persino iscritto. Due volte: la prima per smanettare con i temi, e fin qui è andato tutto bene. Il problema è nato quando ho provato a fare una cosa abbastanza normale, un trasloco informatico (anche di modeste dimensioni dai, non scrivo così tanto) che mi ha rovinato il giochino in un attimo.

Innanzitutto, Tumblr non te li fa caricare direttamente dal sito i tuoi articoli. Eh no, sicuramente se ti iscrivi a Tumblr non hai mai usato un altro blog, davvero. Perfidi, ecco cosa siete, dei bastardi egocentrici.
Sono passato quindi a un sito trovato su internet (vatti a fidare, ma che ci vuoi fare, uno si deve spostare in un modo o nell'altro) che ha provato a caricare tutti i miei piccoli, pargoli, articoli nella culla di Tumblr. Ovviamente, cilecca: Avevo una bellissima lista di articoli nel sito, peccato che erano solo i titoli. Il contenuto? Secondario, dai.

Mi sono stufato. Ho detto "fammi cancellare il tutto". No, non c'è un bel tasto "Delete" (sì, è in inglese, non come il caro Blogspot), quindi ho dovuto googlare pure quello. Ma ci sono riuscito.
Ho rifatto le valigie, e sono rientrato in casa Google con la nostalgia che se ne andava via.

No non scappo più ;_;.

martedì 8 settembre 2009

Le Stelle Cadenti

Non credo nelle stelle cadenti. Credo che le persone affidino a dei sassi incarichi che invece spettano a loro, imprese che non hanno il coraggio di compiere, magari nemmeno così difficili, ma semplicemente impegnative.
Ma le persone sono pigre, oziose e spesso incapaci di capire e realizzare cosa è necessario e cosa no, figurarsi se riescono ad applicarsi in ciò che è importante: così relegano le loro responsabilità a un meteorite in frammentazione, ad un oggetto in punto di morte. E noi a questo asteroide prossimo all'estinzione, cosa regaliamo? Non un'assoluzione, non un sorriso, non gioia, ma un altro pensiero, un dolore in più che si porterà appresso col rimorso di non poterci aiutare, in quanto esploso.
Quindi ora, quando guardo una stella cadente, non esprimo un desiderio. Sorrido. E magari morirà felice quel piccolo pezzo di cosmo. Per quanto riguarda il desiderio, serve olio di gomito, non certo polvere di stelle.

domenica 6 settembre 2009

Occhiolino

Scrivo. Sì, di solito mi piace scrivere, in particolare di notte, credo sia l'ambiente, l'aria fresca, il silenzio della gente, la libertà di pensiero che un vino a 14° può suscitare, tutti particolari che portano a rendere questo atto più piacevole.
Adesso, per conseguire ciò che mi ero prefissato iniziando questo post, dovrei trovare le parole giuste, le metafore adatte alla situazione e riuscire a dire in un modo molto complicato che tutti cercano il senso della vita, che le donne portano confusione nella propria vita e mancanza, che capita a tutti, e alludere con quel tutti a una persona in particolare, e riuscire oltretutto a farglielo capire con un ammiccamento blogografico che non è mica facile, perchè non è che puoi fare l'occhiolino con la faccina, si vedrebbe troppo, quindi punti a una frase ad effetto e ti chiudi lì dieci, quindici minuti sul pensarla e ripensarla e non ti viene, di conseguenza passi ai ricordi: da lì ti districhi nel groviglio delle tue memorie e pensi al necessario a fare quest'occhiolino testuale, a fare l'occhio senza dare nell'occhio.
Poi dovrei scrivere nel tutto anche che la mia esperienza con le donne ha fatto schifo, ma so che in realtà c'è anche ciò che mi è piaciuto, quindi lasciare la speranza, perchè dovrei far capire che in questo momento prevale la fase ottimista, lasciando perciò un pò di sarcasmo nella frase pessimista, però se non sei attento perde di senso o peggio ancora diventa così triste e poco saggia da rovinare l'intento principale.
Riuscito a saltare anche quest'altro ostacolo, potrei finalmente godermi un bel post da vero maestro di letteratura, finire la mia pipa e riporre la penna e il calamaio nell'apposito scrittoio.
Per ora poso il mouse.
Buonanotte ;).

giovedì 30 luglio 2009

Notizie dal mondo

Afghanistan, i talebani: "boicottare il voto". Fatevi esplodere nelle cabine elettorali.

Esame di dialetto ai professori. Subito il commento dell'insegnante di Renzo Bossi: "Non sono terrona, lo giuro".

Iran, centinaia al cimitero, diversi arresti. La polizia stupefatta: "Non hanno opposto resistenza".

Oltre 8 milioni di poveri in Italia, soprattutto al Sud. Ottimista la Lega: "Potremmo arrivare a più di 12 milioni entro fine mandato."

Roghi in Sardegna, un arresto e indagati. Berlusconi si discolpa: "Gliel'avevo detto a Noemi di stare attenta col barbeque".

Cinema: Mercato tiene, film italiani in calo, il pubblico preferisce i blockbuster americani. Già in produzione "Natale in Vietnam" con Sylvester Stallone.

Borsellino: il fratello, sulle indagini il vento sta cambiando. Così le fiamme crescono più in fretta.

DL Anticrisi: CDM approva domani il decreto correttivo. Si erano scordati di includere le mazzette per la mafia.

Cagnolina ritrovata dopo 9 anni grazie al microchip. Bossi ottimista: "Potrebbe funzionare anche con gli immigrati."

Napoli, suicida console di Germania. Sembra che di fronte alla finestra avesse i bidoni della spazzatura.

Berlusconi: Andrò all'Aquila ogni settimana, per costruire nuove case in tempi brevissimi. La Fininvest ha vinto gli appalti, allora.

[Spinoza: Fonte d'ispirazione incontrastata.]

mercoledì 29 luglio 2009

Ora, vorrei.

Ora. In questo momento, vorrei uscire dalla porta della mia casa, oltrepassare il cancello, giungere in strada e correre, andare via, ma non verso una meta ne scappando da qualcosa. Vorrei semplicemente mettere un piede davanti l'altro, velocemente e poi ancora più veloce, andare, al ritmo di musica, la colonna della sonora mia vita, a volume sempre più alto fino a quando alzare il volume sarebbe solo lo scoppio dei timpani, a ritmo frenetico e sempre più rapido e incalzante, così come il mio passo, rapido e ferreo, falcate come ali di gabbiano, come saltare continuamente, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro. Volare come il vento, correre verso il nulla e verso il tutto.
Correre. Vorrei, una volta tanto, essere libero.

sabato 25 luglio 2009

Coscienza

Karl: Grazie per avermi spiegato come arrivare qui, Coscienza.
Coscienza: Non è nulla.
Karl: Eppure non riesco a spiegarmi ancora il mio problema. Medico i sintomi, ma non riesco a curare la malattia.
Coscienza: Beh, è così spesso.
Karl: Forse puoi aiutarmi. E' una strana sensazione, eppure.
Coscienza: Prova a spiegare.
Karl: Hai presente come a volte ci si accorge di stare, senza motivo, ad aspettare qualcosa o qualcuno?
Coscienza: Mh...
Karl: E poi, ti chiedi cosa o chi sia, senza successo?
Coscienza: Beh, sì
Karl: Provi a dimenticarlo, ma riesci solo a perpetuare l'attesa e ti ritrovi ad attendere, comunque, ma con un peso sullo stomaco?
Coscienza: Dell'ansia...
Karl: Già. Ma non è ansia, perché il cervello non collabora, non ho nulla in mente, nulla mi turba eppure provo questo sentimento. Cos'è, secondo te?
Coscienza: E a volte ti ritrovi a guardare le stelle, e il sentimento si rifà vivo?
Karl: Sì...
Coscienza: Succede anche quando guardi le nuvole, vero?
Karl: Ci sei. Puoi aiutarmi?
Coscienza: A te piacciono le nuvole, Karl? E le stelle?
Karl: Le amo.
Coscienza: No, Karl. Tu non ami le stelle. Tu ami. E ciò che ti turba non è nient'altro che amore, inspiegabile ma potente, inconscio ma presente nella tua vita.
Karl: E' fantastico, ma... come risolvo tutto questo, Coscienza?
Coscienza: Sdraiati Karl, e continua a guardare le stelle.

martedì 2 giugno 2009

domenica 31 maggio 2009

La matematica è un'opinione

Lo dimostrano i numerosi concorrenti di Chi vuol essere milionario, ricordiamo le frasi salienti della concorrente del 30 Maggio 2009, che è entrata in panico al momento della domanda che le chiedeva quale fosse il risultato della moltiplicazione di tutti i numeri della tastiera del cellulare (che ricordiamo per i più smemorati: 1,2,3,4,5,6,7,8,9 e, badate bene, 0).

  • "Dunque sessantamila per zero ... sessantamila"
  • "Zero non può essere, perché già se faccio uno per due non è più zero"
  • "Ah ma posso invertire le cifre della moltiplicazione!?... zero per uno fa zero!"
Detto ciò, è chiaro che in Italia la matematica è sicuramente un'opinione.

sabato 30 maggio 2009

Oroscopi per Pesci, d'aprile

Il bello di ogni oroscopo è che ognuno ci vede qualcosa di diverso a seconda dei suoi desideri, e ogni volta gli sembra che dica proprio quello che voleva sentirsi.
Poi c'è da dire che chi li scrive magari ha appena preso spunto da una puntata di Beatiful o dalle previsioni del tempo.
E dire che c'è ancora gente che crede a quello che gli suggerisce il mago del giorno.

Però sono belli da leggere, dai.
No, non è vero, non ne leggo mai.

Gli scrittori

Credo che ci siano sulla terra tre tipi, di base, che scrivono, ognuno di loro per un motivo diverso, spesso diametralmente opposto.

Il primo è lo scrittore depresso, il più noto soprattutto agli occhi dello studente medio, in quanto una buona percentuale (circa il 90%) degli autori studiati durante il liceo e/o le medie (ops, volevo dire secondarie inferiori) è di questo tipo, il poeta malinconico e assillante che tormenta i ragazzi con le sue turbe psichiche incomprese.
Ma questo scrittore non è confinato nei libri di scuola, è una tipologia che si ritrova spesso anche nei blog, nei libri più disparati, nelle librerie degli psicologi o nei cassetti dei teenager, a seconda della sua capacità di scrivere e dei temi trattati.
Questi temi tuttavia esteriormente sono vari, dall'amore alla morte, ma nel nocciolo si possono ricondurre sempre alla tristezza e al disprezzo di una situazione o della vita in generale (sempre a seconda della gravità dell'autore).
E' una fase che può essere temporanea o durare eternamente (vedi Leopardi), ma a volte conduce a risultati apprezzabili, soprattutto se il lettore cerca di eludere il contenuto Emo del testo.

Il secondo è lo scrittore nonsense, etichettato anche dagli intellettuali più snob come "scrittore futile e incapace di produrre qualcosa di apprezzabile".
E' caratterizzato dalla produzione di testi apparentemente pieni di contenuti artistici e metaforici anche di alto livello, ma qualora ne riusciste a individuare uno, sappiate che avete commesso un errore: uno scrittore nonsense non produce mai qualcosa di sensato, figurarsi con un doppio senso.
Le sue opere sono spesso ottime dal punto di vista stilistico, in quanto non subordinate ad un pensiero secondario di livello contenutistico, e anche perché è proprio nella forma che si esprime l'idea dell'autore: qualsiasi idea infatti risiede completamente nella struttura, nelle parole, negli accostamenti di parole (e non nelle metafore).
Il contenuto è vuoto, ma è sempre presente un tema dominante, spesso ben delineato e riconducibile a qualche tematica dei Depressi o degli Allegri, ma ha il solo compito di offrire un pretesto per scrivere.
Spesso i testi lasciano senza parole il lettore, che si trova solitamente confuso e spaesato, ma, attenzione, mai allibito: sono testi che suscitano più il sorriso (melanconico o allegro non ha importanza) che il pianto.

Infine vi è lo scrittore allegro, che non corrisponde necessariamente con l'autore comico: mentre quest'ultimo è capace anche di velare dietro alle sue battute una visione profondamente pessimistica della vita, il primo può anche celare dietro un'ironia arguta e sottile un sorriso divertito.
Solitamente è uno scrittore felice, che si propone di comunicare con i suoi brani concetti di tutti i tipi in chiave ironica, sarcastica, ma non obbligatoriamente: la caratteristica è che trasmette sentimenti positivi sia utilizzando uno stile adeguato (come nel caso dell'autore comico, vedi Benni), sia criticando una determinata realtà (vedi Ariosto): per cui, per quanto possa essere analizzato, l'unica vera conclusione è che il suo lavoro è un lavoro allegro.
Per quanto riguarda i temi, cerca di non soffermarsi su nessuno di essi, e ne racchiude molteplici nei suoi brani, ognuno commentato con un velo di ironia.

In conclusione, vi sono molti più tipi di scrittori, ed è chiaramente impossibile descriverli tutti, ma questi tre macro gruppi sono una buona approssimazione e permettono di inquadrare nei loro sottoinsiemi (ma anche unioni, perché molti di loro hanno caratteristiche ben più sfumate) gli autori di cui state per leggere qualcosa.

P.S.: Io vorrei rientrare negli ultimi, tentando di scrivere come i secondi ma producendo più spesso contenuti tipici dei primi.

mercoledì 27 maggio 2009

Il solito tramonto

Sugli scogli della Cornovaglia il sole batteva forte e riscaldava le pallide pietre, il limpido mare e i prati verdi. Lì seduto c'era Edward, con le gambe piegate e le braccia incrociate, come chi aspetta il momento giusto per alzarsi; i suoi occhi ammiravano l'enorme distesa azzurra e i suoi vivaci riflessi, mentre la brezza scuoteva gli steli dei fiori e accarezzava i sassi marmorei.
Grazie a quel fruscio Edward ricordava i pomeriggi passati assieme alla sua famiglia, o le meravigliose serate con i suoi amici; ma erano tutti vecchi ricordi, troppo vecchi per essere ancora vividi nella sua mente: e ora aveva solo delle brevi visioni, immagini sfocate che non gli trasmettevano più nulla.
Il sole cominciava a calare sull'orizzonte, ed Edward non si era mosso di un millimetro; solo i suoi lunghi capelli venivano mescolati dal vento e i suoi vestiti ormai a brandelli ondeggiavano inquieti.
Nella sua testa apparivano volti confusi, come sculture erose dalle intemperie, levigate dal fiume del tempo; e così le loro azioni, i loro gesti perdevano di significato, così i loro nomi sembravano svanire, così le loro parole divenivano sconnesse e scollegate, come l'audio di un vecchio film su pellicola.
Ora era solo, solo su quegli scogli, solo senza nessuno. Non c'era più nessuno, e lui non sapeva perché: era tornato a casa, un giorno, e si era incuriosito nel vedere la strada sgombra dove solitamente regnava il traffico; ma non c'era anima viva nemmeno nelle vie, nei negozi, nelle abitazioni, per strada o nei boschi, in mare o sulla terra.
Erano passati tanti anni da quel giorno terribile, e più i giorni passavano più nel suo cuore la vita diventava futile, dolorosa e straziante.
Adesso il sole stava scendendo, oltre l'orizzonte, mentre Edward ammirava il tramonto in tutto il suo splendore, la sua armonia di colori, armonia che ormai il mondo aveva perso; e quando il sole era quasi scomparso del tutto, Edward sentì che il momento era arrivato, inspiegabilmente. Si alzò, senza fretta, mentre il tremolio delle onde in lontananza smussava il netto profilo del sole, continuando a fissare il mare, e scomparve. Anche lui. Per sempre.

giovedì 21 maggio 2009

Il fumo

E' fantastico incontrare di nuovo la stessa persona che cinque anni fa ti diceva "dai fuma, tanto lo fanno tutti, è troppo figo", il compagno delle medie che se la tirava con la sigaretta, mentre tu magari non entravi nel club del tabacco e non fumavi perché non ti andava di rinunciare a salute e soldi in un colpo solo; e ora lo rivedi, ci parli anche, senti qualche colpo di tosse se è stato sfigato; e poi ti dice la frase che è la tua gloriosa vendetta, e in quel momento apprezzi la sfiga che fu, mentre per lui è un colpo allo stomaco: così ora lo vedi tormentato dalla nicotina e destinato a essere marchiato a vita dalla sigaretta.
E proprio per non essere come lui che in questi casi ci mostriamo anche umani, buoni, pieni di misericordia, e lo consoliamo, incuranti del male che ci può aver provocato anni fa.

Fumatore: Ahhh, beato te che non fumi, come vorrei non aver mai iniziato anch'io.
Io (godendo): Hai un cancro ai polmoni tanto, è incurabile. (sorriso bonario, mentre mastichi una gomma)

giovedì 14 maggio 2009

Titolo

Titolo, ovvero: Perché hai scelto Minacce di Vita.

Come tutti i libri, i film, le poesie (un po' meno queste magari), io credo che anche i blog debbano spiegare, prima o poi in un loro post, il significato del proprio nome: potrei citare innumerevoli esempi contrari, vedi ad esempio "Il nome della Rosa", che si potrebbe supporre un trattato sulla botanica, ecco che si mostra essere un thriller pseudo-religioso, vie di mezzo, come "Independence Day", in cui risulta difficile collegare il giorno dell'indipendenza con un attacco alieno, ma è innegabile l'importanza di questo elemento, Il Nome, che invoglia il lettore, lo attira, gli suggerisce qualcosa.
E' indubbio fra l'altro che il titolo sia oggetto di un prezioso lavoro di ricerca dell'autore. Ok, di rado, ma ogni tanto lo è, e mi sembrerebbe ingiusto lasciarlo in ombra, proprio ora che non ho niente da scrivere.

Innanzitutto il titolo mostra un corretto uso dell'italiano, in quanto il plurale di "Minaccia" è uno dei tranelli più diffusi della lingua italiana; percio e' inevitabbile ke ciò suppongha una conoscienza perfeta dell italiano.
Su Vita non mi soffermo in quanto è un termine abbastanza diffuso e più o meno tutti conoscono il suo plurale, "Viti".
Ma ora dopo questa spolverata di grammatica, possiamo passare al pan di Spagna che è il nostro contenuto.
Chiaramente mi è piaciuto molto il gioco di parole fra "Minacce di Morte" e "Minacce di Vita", quasi un ossimoro, ma anche una semplice antitesi fra i due aspetti contrapposti della nostra esistenza: ma non mi sono fermato a questo. Queste sono solo parole che tuttavia celano un significato lievemente più profondo; la vita, la vita. E' inevitabile e la apprezziamo tutti, ma è innegabile che sia una dannata rottura di palle. Ma in fondo, chi ce lo fa fare, cosa diavolo ci spinge ad andare avanti ai disastri di ogni giorno? No, non voglio in questo misero blog fornire una spiegazione a un dilemma così vasto e complicato, magari nel mio piccolo suscitare un minimo di coinvolgimento, una piccola riflessione sulla nostra vita.

Perché? Perché anche se è piena di ostacoli è sempre ciò che si contrappone alla Morte, e non credo che in tanti qui rinuncerebbero alla vita pur di non dover risolvere problemi. Non sia mai una mia opinione soggettiva, è confermato in modo cristallino dal fatto che il tasso di suicidi è ancora minore del 5% e che non siamo a rischio di estinzione.

Insomma mi pare che abbiate capito che questo non è un titolo a caso e quindi non mi pare il caso di insultarlo gratuitamente solo perché non è famoso.
Una cosa è certa: in un insieme infinito di Blog, con titoli scelti taluni a caso e altri con un ragionamento, il nome del tuo blog sarà peggiore di quello successivo, che avrà impiegato esattamente la metà del cervello e del tempo che hai sprecato tu.

lunedì 27 aprile 2009

Grazie futuro.

Vorrei iniziare quest'articolo con una citazione che mi è entrata in testa e che mi viene in mente nei momenti più disparati, ma che apprezzo notevolmente: "No, la vita non mi ha disilluso", di Nietzsche.
Effettivamente non c'è nulla nella vita, tanto meno la vita stessa, che abbia ancora avuto l'onore di disilludermi, e lo reputo un fatto positivo, diciamo, almeno non del tutto negativo, soddisfacente: vuol dire che per ora mi rendo ancora conto di non sapere assolutamente nulla di questo diavolo di mondo, insomma siamo tutti degli ignoranti, nel senso che ignoriamo (cit.), perciò le scoperte per quanto tristi, smielate, crudeli, atroci o terrificanti che siano fanno parte del normale bagaglio culturale di esperienza che ci tocca un po' a tutti, nulla di speciale. E' divertente pensare che anche la cosa più spiacevole è qualcosa di comune in fondo, un evento che sarà toccato a tanti e che tranne eccezioni degni di nota, non ha mai ucciso. Insomma siamo dei dannati esploratori di questa terra e di questa vita che aspettiamo il domani con gaudio misto a ribrezzo, eccitati e devastati dal futuro che arriverà. Semplice fatalità che alla lunga è capace anche che annoi qualcuno fra gli individui più gagliardi del nostro tempo, come Sylvester Stallone o George Bush che hanno avuto il piacere di provare le più varie sfaccettature della nostra epoca e in fondo a novant'anni si ritroveranno chiusi in casa a rivedere film di decenni prima o a giocare a Risiko con Bin Laden, tuttavia non rientro fra questi pochi eletti e credo che il domani mi riservi ancora qualche sorpresina a cui difficilmente potrei essere preparato, diciamo numerose sorpresine, come quella dannata volta che ho scoperto che Babbo Natale non esisteva, capitemi, non è cosa da tutti i giorni, si può entrare in coma per shock del genere, non bisogna prenderle alla leggera queste rivelazioni; e vogliamo parlare di Berlusconi? Per anni cresci pensando che sia un politico sbeffeggiato di serie B e poi un bel giorno ti informano che ha il 90% delle televisioni ed è presidente del consiglio, ti domandi come è possibile che ancora ci sia satira nei suoi confronti e ti porti avanti il dubbio fino alla pensione, fino a quando scopri che non c'è più la pensione e in quel momento capisci che ti ha fregato anche con la satira e scopri un bel pò di cose, anche se è troppo tardi, ma rimane comunque uno shock, mi capirete spero.
Insomma non so cosa aspettarmi dai rimanenti anni di vita, che non specifico per la legge sulla privacy, non posso mica venirvi a dire che ho 17 anni dai, non mi prendereste sul serio.
Però una cosa la so, la vita non mi ha disilluso e in fin dei conti sono abbastanza fiducioso nel domani, tanto sei sempre sicuro di certe cose e sono quelle che ti danno forza, ad esempio il fatto che sicuramente se Andreotti ha passato i 90, Berlusconi passerà i 180 con qualche capello in più (miracoli della tecnologia o della fede?) e tanti soldi, e su queste cose orbitano le proprie speranze.
Grazie futuro.

martedì 14 aprile 2009

Il teatro

In una vita ci si può comportare in tanti modi diversi, un giorno sei una persona e il giorno dopo chissà. Siamo abituati a essere frivoli e incoerenti. Eppure noi siamo sempre noi, non cambiamo, rimaniamo quelli di sempre: ma è difficile scoprirci, rivelarci a noi stessi: c'è chi incontra l'anima gemella e capisce finalmente la sua vera natura, c'è chi vive per i soldi, chi per la gloria, chi ha fondato tutto sul successo, chi sulla gioia e sulla felicità, chi crede in Dio, chi nella guerra e uccide 12 persone in una scuola per evocare il suo idolo, chi vede in un figlio il bene più grande, chi tradisce, chi ama, chi sogna. E poi nella vita di tutti i giorni sono persone apatiche, avare, oppresse, dolci, assillanti, smielate e frivole, incoerenti e bugiarde, pazze e senza speranza, sincere, crudeli, povere, incantevoli: non sempre si è realisti con se stessi, ma non è una colpa. E' veramente difficile capire chi si è, e lo è ancora di più accettarsi senza compromessi.
Io non so come sono e cosa sono, cosa credo di essere, cosa faccio credere di essere. Però quando, sorvolate tante persone, scartati tanti amici, si giunge a una conclusione, scopri anche qualcuno speciale. Una donna, un'amica. Non so per quale motivo, però le mie certezze sono arrivate così. Sono stato crudele, disperato, ironico, folle, adirato, confuso, ma è bastato un gesto, piccolo, insignificante, un misero abbraccio, per rendermi conto di quello che sono; per capire che a differenza di come mi ero comportato, lei sarebbe sempre stata importante. Non so cosa può valere per lei, però in me è qualcosa che vale. E' una chiave di lettura per un romanzo cifrato, un'anima che credevo di aver dimenticato ma che non puoi mai abbandonare sul serio. E quando la ricordi, ritrovi tanto. Ritrovi tutto. E scopri anche.
Non significa nulla quel gesto ma penso, credo, spero. Perché un ti voglio bene è ormai un tabù, un ostacolo da combattere a cui non posso nemmeno aspirare.
Tutto è finzione, siamo solo maschere in un teatrino in cui recitiamo per compiacere più che noi stessi, gli altri. Non siamo nessuno ma è bello far credere a tutti di essere i primi della classe, sbaglio forse? No, non sbaglio. Lo so per certo perché nessuno e dico nessuno può uscire di scena.
Non mi piacciono tanti atti di questo spettacolo, a tratti morboso a tratti crudele. Odio tante persone di questo pessimo palco, odio i loro comportamenti, odio le falsità e le mere viltà mascherate da virtù, cani rabbiosi e ipocriti, nient'altro.
Tuttavia nemmeno io posso. Nemmeno io sono mai uscito di scena.
Ed è normale quindi che tutto ciò a cui ambisco è troppo reale, sincero, troppo lontano dallo spettacolo. Ti rendi conto di quanto sei incapace di fare ciò che ti prefissi, e magari più che dare la colpa agli altri, guardi un po' le tue, di spalle.
Il problema è che non è mai bastato quello che ho fatto. Ci sono sempre incomprensioni, errori, commenti di sfuggita e piccoli dettagli che alla fine, pesano. Come adesso, sarebbe facile pensare che sto criticando qualcuno: e invece no. Il problema qui sono io, ed è per questo che non ti ho mai fatto capire nulla, tanto meno chi fossi io e quanto tu sia importante per questo semplice Io. Per una volta sarò sincero, con me stesso, con tutti, più per la voglia di urlarlo che per il desiderio di dire le cose come stanno, lo dirò: "Ti voglio bene". E sparirà, in un commento, in una smorfia, un post come tanti fra troppi; ma per una volta confido di aver fatto lo mossa giusta.
E poi mi siedo, mi rilasso. E mi rassegno.

martedì 17 marzo 2009

XKCD - La traduzione

Anche se non è fra i siti di vignette più noti, XKCD ha incrementato la sua popolarità negli ultimi anni soprattutto grazie al suo stile semplice e lineare e l'umorismo pungente e un po' particolare.

Nelle sue vignette l'autore, Randall Munroe un ex-consulente della NASA, propone numerosi temi, spesso riguardanti la matematica o il mondo dei computer, ma anche argomenti ricorrenti o sue ossessioni, come l'attacco dei velociraptor (sì, quelli di Jurassic Park).

All'uscita della sua nuova vignetta, Alternative Energy Revolution, io e un mio amico abbiamo avuto l'idea di avviare un progetto di traduzione delle vignette di xkcd, e magari inviarle allo stesso autore, come fanno già gli stessi russi e spagnoli. È chiaro che non è possibile tradurre ogni vignetta, in quanto in molte sono presenti riferimenti, parole o concetti intraducibili in italiano; però ci si può sempre provare. Ecco alcuni esempi che ho tradotto fra ieri e oggi; buona lettura.

Cliccate sulle immagini per ingrandire.




sabato 21 febbraio 2009

Storia di un saggio




Vi starete chiedendo chi io sia e per quale motivo abbia deciso di raccontarvi questa storia. Per quanto riguarda la prima domanda, mi conoscerete solo leggendo, vi basti sappere ciò; Per il motivo, posso dirvi qualcosa che inizierà a farvi capire questo racconto: sappiate che le mie labbra cominciano a seccarsi, il cervello mano a mano rallenta e le immagini nella mia mente sono sempre più confuse e opache, diventano sfumature impalpabili, ben lontane dalla saporite essenze che hanno caratterizzato le mie avventure. E qual è la gioia più grande per un vecchio, se non ricordare le sue gesta, vedere le parole che, dirompenti, fluiscono fuori dalla propria bocca e penetrano nelle orecchie degli avidi e giovani ascoltatori? Allo stesso modo io amo il sapore della lingua impastata per il continuo narrare, io che descrivo ogni gesto con esagerato vigore e accompagno il tutto con una grande passionalità. Io amo regalare il mio sapere e la mia vita a voi altri, questo è il mio fine, di cui vi racconterò la causa stessa. E così, ora, ascoltate ciò che ho da dirvi.

Vivevo tempo fa in un piccolo villaggio, sulla costa della Germania. La vita, calma e tranquilla, procedeva al ritmo della pesca, mentre ogni sera le famiglie riunite celebravano la gioia della giornata. Per quanto il cibo fosse abbondante e la serenità cullasse tutto il paese, sentivo che qualcosa mancava, dentro di me. Ero assetato di qualcosa che oggi chiamerei "sapienza"; desideravo con tutto il cuore scoprire qualcosa in più, che illuminasse la mia via e la mia vita, per fermare quell'erosione interna che mi stava divorando e che, se non avessi fermato in tempo, come vi racconterò, mi avrebbe senza dubbio ucciso.
Mi allontanai dal villaggio e mi inoltrai nella profonda Germania, nella patria dei barbari, colei che fermò l'avanzata romana, senza pensare ai pericoli che stavo per affrontare: lo strazio che aveva dentro costringeva il mio corpo già esausto ad affrettare il passo, attraversando foreste nel cuore della notte, scalando picchi innevati sotto la luce dell'alba, guadando fiumi sotto il sole cocente di mezzogiorno, marciando nei folti prati verdi al tramonto, il tutto senza potermi fermare mai, come sospinto da una misteriosa forza interiore, tanto crudele quanto potente.
Allo stremo mi accorsi di essere ormai giunto al confine con l'Austria, e fu qui che per la prima volta riuscii a contenere il mio impulso, a bloccare l'avanzata: fabbricai una capanna con le mie ultime energie e, preparato il giaciglio, caddi in letargo come un orso d'inverno.
Passarono diversi giorni in cui non mossi un ciglio, rimanendo immobile nel mio sonno, e sognavo altri viaggi, così i miei piedi si muovevano nella mia mente, al ritmo dei miei respiri, dritti verso nuovo mete, mentre il mio corpo si opponeva e rimaneva lì sdraiato.
Solo dopo una settimana aprii gli occhi e, appena pronto, ripresi il mio viaggio con inaspettata sicurezza: il cammino era già tracciato nella mia mente e percorrevo esattamente gli stessi sentieri che avevo sognato quelle notti; e così giunsi in Italia dove, in una città della vasta pianura, mi fermai per riposare in una locanda.

Fu facile prenotare una stanza per la notte, così ebbi tempo di sedermi e cenare con qualcosa di diverso e di più decente rispetto ai pasti che accompagnavano il mio pellegrinaggio. E non fu quella la sola novità della serata: un signore, con un saio e un cappello scuro, si sedette accanto a me e iniziò a mangiare con una notevole lentezza, come se dovesse dire qualcosa; così gli chiesi: «Buon uomo, in una così vasta locanda, perché prendi posto vicino a un forestiero?».
«Qualcosa dentro di me mi assicura che io già ti conosco» Rispose l'uomo «lo reputi sensato?»
«Tutto è possibile, non credo di poterlo negare» Gli dissi con indecisa rapidità.
«E' qui che sbagli, mio caro amico. Io non conosco neppure il tuo nome, tanto meno la tua storia» incalzò lo sconosciuto «eppure con confidenza parlo a te, perché so sfruttare le curiose credenze della gente. Non porre mai fiducia in nessuno sul cui conto la tua esperienza non fornisca prove concrete e sicure. Il Destino non esiste, tutto ciò che abbiamo noi poveri uomini è la semplice vita, priva di poteri soprannaturali. Abbi fede in te, e solo in te stesso, o pellegrino.»
Volevo in quel momento rispondere con foga, mostrare a quell'uomo come quel mio incontro fosse già previsto nel mio lungo sonno, tuttavia un pensiero mi balenò in mente: Quell'uomo avrebbe parlato a chiunque, per il mero gusto di farlo. Come potevo sostenere la veridicità del destino con un uomo che aveva conquistato la mia piena fiducia proprio ingannandomi su quello stesso argomento, sfruttando la mia ignoranza e debolezza? Era impossibile. Ed ero stanco d'altronde. Il pasto fu amaro e pesante, così andai a dormire, e questa volta il sonno fu più breve: già la mattina seguente ripresi la mia via.

Nel lungo cammino che mi avrebbe condotto in Francia, ebbi tempo di riflettere. Sapevo già che il destino non esisteva, e questo mi conferiva una grande saggezza: chiari davanti ai miei occhi si stagliavano i miei piani, e ora, privo delle superstizioni, potevo progettare ogni cosa con metodica precisione e correttezza; nessuno mi avrebbe più ingannato, ne ero certo, così come ero sicuro della veridicità di quell’italiano: le sue parole erano sagge non perché belle, ma perché fondate sulla ragione. Io ora ero entrato in possesso di quest'ultima, e solo uno stolto avrebbe potuto credere di fermarmi.
Passo dopo passo, sospinto dalla mia energia che sembrava interminabile, raggiunsi la capitale francese, Parigi. Era quasi il tramonto, così chiesi ospitalità a una casa poco lontana dalle mura. Il contadino che lì abitava fu molto cortese e con bontà mi offrì di condividere una stanza della sua dimora con un altro forestiero che alloggiava lì da molti mesi. Senza paura accettai e, alzate le coperte, mi infilai nel letto costretto dalla stanchezza che attanagliava le mie gambe.
Uno strano sospiro dell'altro ospite tuttavia turbò il mio sonno. Egli, con parole che a me allora sembravano incaute, disse: «Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Tu, un forestiero, ti saresti fermato in questa casa e avresti cambiato la mia vita. So che c'è un grande progetto nell'aria». Io, che null'altro aspettavo se non l'occasione di mostrare a qualche stolto le mie nuove e ingegnose conoscenze, risposi: «Caro amico, non credo in ciò che tu dici. Non c'è nulla che possa collegare le nostre strade, la tue sono solo parole ingannevoli. Miri a qualcos'altro e non certo a un grande progetto; così come il tuo scopo è meschino, la tua voce è traditrice: non aspettare che io ti creda, dunque.»
«Sai molto, o avventuriero. Le tue parole sono colte» rispose l'uomo «ma non abbastanza. Credi di essere saggio, di avere la conoscenza nelle tue mani: eppure guardati, cos'hai ora? Solo aria e nulla più. Tutto ciò su cui fondi il tuo viaggio è più malvagio dei miei intenti; sei superbo e credi di avere già tutto, ma in realtà sei povero d'anima. Ora me ne andrò e ti lascerò alla tua storia: ma sappi che il tuo viaggio è tutt’altro che concluso».
Le sue parole mi turbarono molto. Pensai a replicare mentre egli faceva i suoi bagagli, ma non trovai nulla su cui basare la mia tesi: era vero, pensavo solamente al dibattito che avrei dovuto affrontare, avevo abbandonato il mio desiderio di sapere per far posto a un'avida sete di lotta verbale. Il mio carattere era così annebbiato dalla mia, per quanto nuova, piccola scoperta che non mi rendevo conto di quanto il sapere fosse più vasto del mio intelletto: egli mi aveva aperto la via, che ora con umiltà avrei proseguito, pronto ad affrontare i nuovi pericoli che mi si sarebbero posti di fronte. Riposai serenamente, per quanto mi aspettassi una nottata d'inferno, e ciò mi rincuorò molto.

Era una grande giornata e con passo svelto mi avventurai verso la Spagna. Parigi non mi aveva attratto molto, e la mia forza interna mi costringeva a correre, a camminare verso terre ignote e verso profeti più savi di me. Passarono mesi e mesi prima di raggiungere i Pirenei, perché la mia età avanzava al ritmo dei miei passi, e poco a poco sentivo che le energie mi venivano a mancare: fu così che già dopo un anno raggiunsi i porti delle coste spagnole e decisi di stabilirmi, questa volta perennemente, in un paese minuscolo vicino alle colonne d'Ercole.
Con gli anni riuscii a comprare una piccola casa, dopo aver vissuto per circa un lustro nella casa di una famiglia marinara, che si comportò molto gentilmente con me.
La mia barba era sempre più bianca e folta: diventavo vecchio, così, non potendo più viaggiare ma volendo apprendere, cercando di trovare la modesta risposta alla mia domanda di sapere, decisi di affittare una stanza del mio rifugio ai forestieri che avessero desiderato riposarsi.
Per un tempo che ora mi sembra infinito ma che fu relativamente breve, ospitai numerosi uomini, chi più saggio chi meno, chi coraggioso e chi vigliacco, chi ricco e chi povero, e da tutti amavo ascoltare qualcosa, così come amavo narrare loro la mia storia; ma mai fui soddisfatto quanto il giorno in cui veramente scoprii cosa fosse il Sapere.
Stavo ospitando in casa mia un giovane, che spesso e volentieri mi poneva delle domande alle quali, gradendo moltissimo il suo comportamento, rispondevo sempre, fino a quando egli, con aria innocente, disse: «O signore, è notevole la vostra saggezza, ma voi negate sempre che questo vi renda savio; avete innumerevoli conoscenze, siete sempre gentile col prossimo, eppure non vi reputate un saggio. Cos’è dunque ciò a cui aspirate che vi possa rendere tale? »
In quel momento ebbi l’illuminazione, era finalmente chiaro, si concludeva lì il circolo; fiero delle mie idee, risposi con vigorosa gioia al ragazzo: «Ebbene la saggezza risiede in ciò che ho appena fatto e che sto per fare, mio giovane ospite: consiste nel tramandare tutta questa sapienza a te, che hai ancora una vita davanti. Così come non è il destino a guidare la nostra vita, ma è il solo sapere a illuminare il percorso, così come la saggezza non risiede nella conoscenza ma nell’apprendimento, così il vero Sapere sta nel comunicare e nel ragionare, non c’è nient’altro che può rendere un uomo un saggio se non il suo insegnamento e il suo dialogare: non c’è sola passività nell’apprendere così non c’è solo attività nell’insegnare. »

Penso che a questo punto sia inutile continuare il racconto per filo e per segno, in quanto ora sapete che io sono solo un vivace studente che ha finalmente capito che solo tramandando questa storia poteva placare l’erosione che lo aveva spinto nel suo viaggio.
Ora sapete come un saggio non è altro che un uomo come tutti voi che, forte delle sue conoscenze, si è aperto al mondo, ed è per questo che io scrivo. Ora scoprite, come io ho scoperto, che il Sapiente che io cercavo dalla mia nascita non era altro che me stesso al momento della mia fine.
Abbiate fede in voi stessi.

domenica 15 febbraio 2009

San Valentino

Simpatica, veramente simpatica come festa. La festa dell'amore, dei cuori in vetrina, delle scatole di cioccolatini e dei mazzi di fiori, della sorpresa romantica al mattino e la cenetta al lume di candela la sera, delle passeggiate per i viali, per stare soli e romanticamente uniti.
Il problema è che qualcuno ancora ci crede a questa favoletta, come d'altronde si crede anche ai film, ma questa è un'altra storia.
Vediamola sinceramente: è la ricorrenza dell'ipocrisia e la sagra del consumismo, una crudele realtà e una triste cupidigia mascherate sotto forma di un bel sentimento; e anche tante belle parole, cari "ti amo" di dubbia sincerità, baci futili. Il che non darebbe fastidio a nessuno, se almeno si evitasse di celebrare il tutto come il culmine dell'amore, dei sentimenti. Regali a tutta birra per farsela dare dalla propria fidanzata.
La festa dell'amore, quello vero, è tutti i giorni, stupida ricorrenza canonica. Come se l'amore si misurasse in gradi, poi.
Fatevi un favore, evitate di prendervi in giro. Anche perchè, senza troppa crudeltà, il giorno di San Valentino potrebbe concludersi in un semplice dialogo.

Lui (Va a casa della sua lei): Ciao amore.
Lei (Baciandolo): Ciao.
Lui: Ti ho portato dei fiori.
Lei: Grazie.
Lui: E anche una scatola di baci perugina!
Lei: Buoni.
Lui: Sono contento che ti piacciano...
Lei: ...
Lui: Senti, lo facciamo qui o in camera da letto?.

Auguri, per ieri.

giovedì 22 gennaio 2009

Il Manager

Sempre la solita storia
Capitolo III
"Il Manager"

Il laghetto artificiale al centro dell'Urcwesser Park rifletteva i flebili ma caldi raggi di luce, provocando dei magnifici e rifulgenti riflessi dorati sullo specchio d'acqua. A quest'ora il sole era ben più caldo rispetto all'alba, mentre i lavoratori londinesi, ormai in ritardo, si affrettavano a raggiungere i loro uffici, pronti a subire un'altra ramanzina da parte del direttore; come ogni mattina, d'altronde.
Le fronde degli alberi ondeggiavano come cullate dal vento, il quale provvedeva anche a sorreggere in volo i numerosi uccelli migratori e a colpire con freddo vigore i volti dei passanti, senza badare al colore della pelle o ai gioielli esibiti. Per quanto fosse estate, il vento sembrava deciso a rimanere e a turbare la città ancora a lungo: misterioso veniva al mattino, cresceva, si intensificava, fino a dissolversi con i primi accenni di tramonto; era quasi piacevole per Tom passeggiare per il parco, osservare i prati che gradualmente venivano popolati da giovani ragazzi e anziane coppie, mentre i viottoli si riempivano di biciclette e atleti improvvisati.
Fra il piacevole sospiro del sollievo quotidiano e l'angosciante incombere delle folate fredde, tuttavia, fu quest'ultimo a prevalere nell'animo del detective: ogni dieci passi girava la sua testa e aguzzava la vista in cerca di qualcosa o qualcuno, fino a quando non lo vide in lontananza: si trovava sotto una vecchia quercia, intento a parlare al cellulare.
Accelerò il passo e con discrezione salì la via che portava al giardino superiore, oltrepassò la siepe e lo raggiunse alle spalle; aspettò che si fosse seduto per salutarlo, ma l'uomo lo anticipò.
- Ciao Tom. Mi sei mancato sai? - disse con voce flebile.
- Anche tu Eric, sì, certo - rispose con tono indeciso l'investigatore.
- È tanto che non ti fai vedere. Credevo quasi che fossimo destinati a non rivederci più. Mai più. Ma non mi hai deluso, sei tornato, sei qui ora - rispose energicamente Eric - ma adesso mi domando cosa ci fai, in questo luogo. Non sono più così stolto da non capire che c'è sotto qualcosa, qualcosa di troppo grande e inquietante, e coì sei venuto da me, eh? -
- Ecco, sì. È esatto - rispose Tom.
- Bene, benissimo! Te ne vai, mi lasci qui nei casini, con una camicia sporca di sangue, senza un dannato dollaro per comprarmi un panino, e pensi di poter tornare qui, darmi una calorosa stretta di mano e reiniziare tutto come prima? È questo quello che pensi? Che vuoi, o meglio, che vorresti? - urlò gracidamente Eric, sempre più sconvolto.
- No, non come prima. Qualcosa è cambiato: i personaggi della favola. Ora sono otto, sono stranieri e non abbiamo una benchè minima traccia del loro passato. C'è solo sangue in queste - disse Lankster passando le foto all'amico - eppure sono l'unico indizio. Questa volta non c'è l'uscita di emergenza, Eric. -
- Uscita di emergenza? Usi sempre questa parola così bella per descrivere la tua fuga da una stanza con quattro cadaveri, mentre il tuo migliore amico è svenuto sul pavimento? - disse sarcasticamente ma con terrore l'amico.
- Non c'è tempo per ricordare il passato. Tieni - disse l'investigatore, sempre più agitato, mentre lasciava una delle sette foto nelle mani di Eric - questa è la foto di Pierovic Kadroin. Prendi la metro per andarci, prendi tutte le informazioni che puoi, tu sai quali mi interessano. -
Lankster tacque per qualche secondo, riprese fiato e ebbe tempo per riflettere.
- Scusami - disse Tom con crudele sincerità - hai ragione. Sono stato via per troppo tempo, forse ho fatto la scelta sbagliata. E ne sto pagando le conseguenze. E ora mi aiuterai a pagarle. -
- Ho paura, ma lo farò. Non ho altro da dirti - rispose Eric, mettendo via la polaroid e il cellulare nella sua giacca da vero manager londinese.
Rimasero entrambi in silenzio per un poco, poi con un cenno si salutarono, senza aprir bocca.
Tom rimase sotto la quercia, mentre l'amico, il businessman che ormai era al suo servizio, se ne andava con passo furioso verso l'uscita est del parco.
Quanto aveva condiviso con quell'uomo e quanto ancora avrebbe dovuto sopportare, verso l'ignoto punto di fuga della prospettiva della sua vita.
Cominciò a piovere e le gocce del temporale, così possenti e impetuose, creavano piccoli tamburi ovunque, mentre il lago si tramutava in un'enorme grancassa armonica; e così, con passo malinconico e nostalgico, si diresse verso il cancello Nord, solo e turbato.

martedì 20 gennaio 2009

Risveglio

Sempre la solita storia
Capitolo II
"Risveglio"

La luce dell'alba passava per i vetri ormai asciutti e risvegliava la stanza dal sonno notturno. I raggi più potenti raggiunsero Tom e gli fecero aprire gli occhi tempestivamente: tutto sotto controllo nell'ufficio, il ventilatore era rimasto acceso tutto il tempo e la porta cigolava ancora. Intontito si alzò con calma mentre sistemava con le mani i suoi capelli arruffati e scomposti. Dopo pochi passi entrò nel bagno e guardandosi allo specchio si accorse che era tempo di radere di nuovo la sua barba, ormai spessa 2-3 centimetri: dieci minuti furono sufficienti. Subito dopo si vestì, jeans e camicia celeste, con sopra un'elegante giacca nera che si abbinava bene al suo lungo giubbotto dello stesso colore.
Prese di nuovo le foto in mano e annotò su ognuna di esse il numero mostrato sul monitor, facendo attenzione a segnare bene le cifre. Poi spense tutto, compreso il ventilatore; passò la porta dello studio e, attraversato il corridoio poco illuminato, uscì lasciandosi alle spalle la porta di casa.
Nella tromba delle scale la luce era più forte per via dell'ampio lucernario che si trovava sul tetto; i gradini bianchi decrepiti e molto antichi conferivano al luogo un'aria molto angusta e tetra, ma Tom era abituato e non ci badava più di tanto. Rapidamente scese, saltando agilmente gli ultimi cinque scalini.
La porta dell'edificio era altrettanto cupa e portava alla stessa strada che si poteva vedere dalle vetrate dello studio. Numerosi palazzi si ergevano maestosi ai bordi di quella via, mentre poco più avanti, sperso fra tanto cemento, sorgeva un piccolo parco, l'"Urcwasser Official Meason Park", ricco tuttavia di comode panchine corredate di barboni ubriachi.
L'aria fredda investì il detective impetuosamente, ma il suo cappotto lo proteggeva ottimamente dal gelo invernale; con un gesto si coprì il capo e iniziò a camminare verso l'Urcwasser, con le foto nella tasca interna e i numeri fissi nella sua mente.
I suoi passi solitari sul marciapiede cominciarono ad essere accompagnati mano a mano che il sole sorgeva e svegliava gli abitanti della metropoli; i palazzi si svuotavano e la gente si riversava in strada, ognuno verso la propria meta quotidiana. Il traffico cominciava a mostrare i primi segni di stress, quali ingorghi sparsi e parcheggi carenti, mentre le luci notturne si spegnevano mentre si alzavano le saracinesche di negozi di ogni tipo.
Lungo la sua strada, Tom notò diversi negozi aperti da poco e salutò timidamente i proprietari con un cenno, ma non poteva fermarsi, l'appuntamento era già fissato per le 6:50: un minuto di ritardo gli sarebbe costato caro.
Puntualmente arrivò al parco e, oltrepassato l'imponente cancello d'entrata, percorse il viottolo fino ad una panchina, quasi nascosta, situata dietro un grande albero. Si sedette abbastanza goffamente.
Da poco lontano saltò fuori un altro individuo, completamente vestito di nero con un berretto di lana del medesimo colore. Si sedette anche lui, affianco all'investigatore, e con voce fredda e decisa disse: "Sempre qui, amico. Anche questa volta ti costerà caro, il mercato non è più quello di una volta". Con sicurezza Tom rispose: "Non ne dubitavo. Però mi serve entro domani sera".
"Va bene, va bene. Dammi la foto." Fu la risposta; l'investigatore prese la foto del più losco fra gli otto, Nikolai Vodaric. "Mh, devo chiedere al capitano. Gli archivi di polizia sono sempre più difficili da consultare per i criminali esteri.".
"Sono sicuro che farai un ottimo lavoro", rispose Lankster con un sorriso stampato sulla faccia.
Si alzò, salutò rapidamente il poliziotto e con passo sicuro si allontanò verso il centro dell'Urcwesser.

lunedì 19 gennaio 2009

Sempre la solita storia

Sempre la solita storia
Capitolo I

Sempre la solita storia. Niente di nuovo nell'ufficio di Tom Lankster: la luce della città entrava dalle finestre del secondo piano, filtrando attraverso le tapparelle argentate socchiuse. Piccole gocce di pioggia scivolavano innocenti sui doppi vetri, come è usuale dopo i leggeri ma frequenti acquazzoni londinesi. Nella stanza i colori erano spenti e ingrigiti e la porta che il detective avrebbe dovuto riparare da mesi cigolava ininterrottamente, spinta dalla brezza serale.
Desiderava essere seduto su una confortevole, comoda e profonda scrivania, come quelle che ci propinano i film americani, ma l'esiguo stipendio non glielo permetteva; ora si trovava su una classica sedia di legno, in una posizione alquanto scomoda, rimuginando sul caso in cui ora era impegnato.
Niente climatizzatore, ma un buon vecchio ventilatore, posto sull'armadio più alto, quello sistemato accanto la porta, produceva una corrente d'aria che avrebbe potuto rinfrescare tutta la stanza; ma il caldo di quelle notti estive, l'agitazione, i nervi a fior di pelle convinsero Tom a dirigere tutto il getto verso la scrivania, la quale si trovava proprio di fronte alla porta d'ingresso.
Lentamente scorreva le foto tra le mani, al ritmo del cigolio. I nomi erano scritti con un pennarello nero ai bordi delle otto polaroid, ma non conosceva nessuno di questi Alcuni avevano la faccia marcata dalle rughe o dai tagli della guerra, altri sembravano essere dei manager di Wall Street, dalla feccia alla crema della società. Il loro passato era oscuro, per quanto fossero personaggi caratteristici di certo non erano famosi, almeno, non a Londra. Le ricerche negli archivi non avevano avuto esito positivo, ne nei registri telefonici, ne sul database criminale, niente di niente: sembravano essere usciti dal nulla.
Otto numeri verdi lampeggiavano sul monitor del suo terminale: quindici cifre per ogni ognuno di quei volti. Non gli era stato fornito altro, solo un floppy disc con quei dannati numeri e le foto.
E il suo obiettivo.
Si passò lentamente una mano fra i folti capelli castani che lo caratterizzavano sin da bambino, mentre con l'altra tamburellava sulla tastiera. Aveva posato le foto, in attesa dell'ispirazione che tardava a illuminarlo, mentre i suoi occhi spenti fissavano lo schermo, elaborando improbabili teorie matematiche.
Con un gesto disinvolto e assonnato gettò lo sguardo sull'orologio da polso: era tardi, doveva andare a riposarsi, o il giorno dopo non si sarebbe mai svegliato.
In pochi passi si avvicinò al divano lì vicino, alzò la coperta e si coricò, togliendosi giusto le scarpe, prima di cadere in un lungo sonno.
Mano a mano il traffico si faceva meno intenso e, sebbene fosse la più grande metropoli d'Inghilterra, poco a poco la città iniziava a tacere.

martedì 13 gennaio 2009

Corri, Fuggi, Scappa

Corri, Fuggi, Scappa. Credi di poterti salvare? Credi che affrettare il passo ti aiuterà a sfuggire al tuo destino? E' inutile, ormai ti sei persa, sei sconvolta e non sai dove dirigerti. Sei disorientata e la luce della luna questa notte, così fievole, non ti aiuta di certo. Dove andrai ora?
Le foglie degli alberi, di questa tenebrosa e terrificante giungla, ti angosciano. La paura ti assale, il fruscio delle piante attacca le tue orecchie e si impatta sui tuoi timpani. Sei scossa; senti un rumore alle tue spalle, è finita ormai, arrenditi. Non c'è più luogo in cui nasconderti, non c'è più rifugio dove ripararsi: sei sola e sconfitta. Non ci credi? Guarda lì, quegli occhi iniettati di sangue che si nascondono dietro il cespuglio. Scappi più velocemente? Non c'è motivo, il tuo corpo ormai è già cadavere! Sì, muoviti rapida, cerca di eludere la tua triste fine.
Come nasconderlo, sei spacciata. Il terrore ti si vede in faccia, non hai più niente in cui credere, niente a cui affidarti, sola fra gli sconosciuti, sconsolata. Manca poco ormai, lo sai ma non lo vuoi ammettere vero? Lo sai che in pochi istanti tutto finirà.
Ecco, è giunto il momento. La bestia ti assale, corri lontano, via da lui; ma come credi di poterti salvare se non riesci neanche a vedere un precipizio davanti a te! Sei così stolta, ti hanno ridotta veramente male. E ora, cadi, sprofondi nel burrone. Le tue urla squarciano la notte, ma nessuno può sentirti. Tranne io. Io so chi sei stata, e ora, so che sei morta.
Addio, Signora della Notte.