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Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

sabato 21 febbraio 2009

Storia di un saggio




Vi starete chiedendo chi io sia e per quale motivo abbia deciso di raccontarvi questa storia. Per quanto riguarda la prima domanda, mi conoscerete solo leggendo, vi basti sappere ciò; Per il motivo, posso dirvi qualcosa che inizierà a farvi capire questo racconto: sappiate che le mie labbra cominciano a seccarsi, il cervello mano a mano rallenta e le immagini nella mia mente sono sempre più confuse e opache, diventano sfumature impalpabili, ben lontane dalla saporite essenze che hanno caratterizzato le mie avventure. E qual è la gioia più grande per un vecchio, se non ricordare le sue gesta, vedere le parole che, dirompenti, fluiscono fuori dalla propria bocca e penetrano nelle orecchie degli avidi e giovani ascoltatori? Allo stesso modo io amo il sapore della lingua impastata per il continuo narrare, io che descrivo ogni gesto con esagerato vigore e accompagno il tutto con una grande passionalità. Io amo regalare il mio sapere e la mia vita a voi altri, questo è il mio fine, di cui vi racconterò la causa stessa. E così, ora, ascoltate ciò che ho da dirvi.

Vivevo tempo fa in un piccolo villaggio, sulla costa della Germania. La vita, calma e tranquilla, procedeva al ritmo della pesca, mentre ogni sera le famiglie riunite celebravano la gioia della giornata. Per quanto il cibo fosse abbondante e la serenità cullasse tutto il paese, sentivo che qualcosa mancava, dentro di me. Ero assetato di qualcosa che oggi chiamerei "sapienza"; desideravo con tutto il cuore scoprire qualcosa in più, che illuminasse la mia via e la mia vita, per fermare quell'erosione interna che mi stava divorando e che, se non avessi fermato in tempo, come vi racconterò, mi avrebbe senza dubbio ucciso.
Mi allontanai dal villaggio e mi inoltrai nella profonda Germania, nella patria dei barbari, colei che fermò l'avanzata romana, senza pensare ai pericoli che stavo per affrontare: lo strazio che aveva dentro costringeva il mio corpo già esausto ad affrettare il passo, attraversando foreste nel cuore della notte, scalando picchi innevati sotto la luce dell'alba, guadando fiumi sotto il sole cocente di mezzogiorno, marciando nei folti prati verdi al tramonto, il tutto senza potermi fermare mai, come sospinto da una misteriosa forza interiore, tanto crudele quanto potente.
Allo stremo mi accorsi di essere ormai giunto al confine con l'Austria, e fu qui che per la prima volta riuscii a contenere il mio impulso, a bloccare l'avanzata: fabbricai una capanna con le mie ultime energie e, preparato il giaciglio, caddi in letargo come un orso d'inverno.
Passarono diversi giorni in cui non mossi un ciglio, rimanendo immobile nel mio sonno, e sognavo altri viaggi, così i miei piedi si muovevano nella mia mente, al ritmo dei miei respiri, dritti verso nuovo mete, mentre il mio corpo si opponeva e rimaneva lì sdraiato.
Solo dopo una settimana aprii gli occhi e, appena pronto, ripresi il mio viaggio con inaspettata sicurezza: il cammino era già tracciato nella mia mente e percorrevo esattamente gli stessi sentieri che avevo sognato quelle notti; e così giunsi in Italia dove, in una città della vasta pianura, mi fermai per riposare in una locanda.

Fu facile prenotare una stanza per la notte, così ebbi tempo di sedermi e cenare con qualcosa di diverso e di più decente rispetto ai pasti che accompagnavano il mio pellegrinaggio. E non fu quella la sola novità della serata: un signore, con un saio e un cappello scuro, si sedette accanto a me e iniziò a mangiare con una notevole lentezza, come se dovesse dire qualcosa; così gli chiesi: «Buon uomo, in una così vasta locanda, perché prendi posto vicino a un forestiero?».
«Qualcosa dentro di me mi assicura che io già ti conosco» Rispose l'uomo «lo reputi sensato?»
«Tutto è possibile, non credo di poterlo negare» Gli dissi con indecisa rapidità.
«E' qui che sbagli, mio caro amico. Io non conosco neppure il tuo nome, tanto meno la tua storia» incalzò lo sconosciuto «eppure con confidenza parlo a te, perché so sfruttare le curiose credenze della gente. Non porre mai fiducia in nessuno sul cui conto la tua esperienza non fornisca prove concrete e sicure. Il Destino non esiste, tutto ciò che abbiamo noi poveri uomini è la semplice vita, priva di poteri soprannaturali. Abbi fede in te, e solo in te stesso, o pellegrino.»
Volevo in quel momento rispondere con foga, mostrare a quell'uomo come quel mio incontro fosse già previsto nel mio lungo sonno, tuttavia un pensiero mi balenò in mente: Quell'uomo avrebbe parlato a chiunque, per il mero gusto di farlo. Come potevo sostenere la veridicità del destino con un uomo che aveva conquistato la mia piena fiducia proprio ingannandomi su quello stesso argomento, sfruttando la mia ignoranza e debolezza? Era impossibile. Ed ero stanco d'altronde. Il pasto fu amaro e pesante, così andai a dormire, e questa volta il sonno fu più breve: già la mattina seguente ripresi la mia via.

Nel lungo cammino che mi avrebbe condotto in Francia, ebbi tempo di riflettere. Sapevo già che il destino non esisteva, e questo mi conferiva una grande saggezza: chiari davanti ai miei occhi si stagliavano i miei piani, e ora, privo delle superstizioni, potevo progettare ogni cosa con metodica precisione e correttezza; nessuno mi avrebbe più ingannato, ne ero certo, così come ero sicuro della veridicità di quell’italiano: le sue parole erano sagge non perché belle, ma perché fondate sulla ragione. Io ora ero entrato in possesso di quest'ultima, e solo uno stolto avrebbe potuto credere di fermarmi.
Passo dopo passo, sospinto dalla mia energia che sembrava interminabile, raggiunsi la capitale francese, Parigi. Era quasi il tramonto, così chiesi ospitalità a una casa poco lontana dalle mura. Il contadino che lì abitava fu molto cortese e con bontà mi offrì di condividere una stanza della sua dimora con un altro forestiero che alloggiava lì da molti mesi. Senza paura accettai e, alzate le coperte, mi infilai nel letto costretto dalla stanchezza che attanagliava le mie gambe.
Uno strano sospiro dell'altro ospite tuttavia turbò il mio sonno. Egli, con parole che a me allora sembravano incaute, disse: «Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Tu, un forestiero, ti saresti fermato in questa casa e avresti cambiato la mia vita. So che c'è un grande progetto nell'aria». Io, che null'altro aspettavo se non l'occasione di mostrare a qualche stolto le mie nuove e ingegnose conoscenze, risposi: «Caro amico, non credo in ciò che tu dici. Non c'è nulla che possa collegare le nostre strade, la tue sono solo parole ingannevoli. Miri a qualcos'altro e non certo a un grande progetto; così come il tuo scopo è meschino, la tua voce è traditrice: non aspettare che io ti creda, dunque.»
«Sai molto, o avventuriero. Le tue parole sono colte» rispose l'uomo «ma non abbastanza. Credi di essere saggio, di avere la conoscenza nelle tue mani: eppure guardati, cos'hai ora? Solo aria e nulla più. Tutto ciò su cui fondi il tuo viaggio è più malvagio dei miei intenti; sei superbo e credi di avere già tutto, ma in realtà sei povero d'anima. Ora me ne andrò e ti lascerò alla tua storia: ma sappi che il tuo viaggio è tutt’altro che concluso».
Le sue parole mi turbarono molto. Pensai a replicare mentre egli faceva i suoi bagagli, ma non trovai nulla su cui basare la mia tesi: era vero, pensavo solamente al dibattito che avrei dovuto affrontare, avevo abbandonato il mio desiderio di sapere per far posto a un'avida sete di lotta verbale. Il mio carattere era così annebbiato dalla mia, per quanto nuova, piccola scoperta che non mi rendevo conto di quanto il sapere fosse più vasto del mio intelletto: egli mi aveva aperto la via, che ora con umiltà avrei proseguito, pronto ad affrontare i nuovi pericoli che mi si sarebbero posti di fronte. Riposai serenamente, per quanto mi aspettassi una nottata d'inferno, e ciò mi rincuorò molto.

Era una grande giornata e con passo svelto mi avventurai verso la Spagna. Parigi non mi aveva attratto molto, e la mia forza interna mi costringeva a correre, a camminare verso terre ignote e verso profeti più savi di me. Passarono mesi e mesi prima di raggiungere i Pirenei, perché la mia età avanzava al ritmo dei miei passi, e poco a poco sentivo che le energie mi venivano a mancare: fu così che già dopo un anno raggiunsi i porti delle coste spagnole e decisi di stabilirmi, questa volta perennemente, in un paese minuscolo vicino alle colonne d'Ercole.
Con gli anni riuscii a comprare una piccola casa, dopo aver vissuto per circa un lustro nella casa di una famiglia marinara, che si comportò molto gentilmente con me.
La mia barba era sempre più bianca e folta: diventavo vecchio, così, non potendo più viaggiare ma volendo apprendere, cercando di trovare la modesta risposta alla mia domanda di sapere, decisi di affittare una stanza del mio rifugio ai forestieri che avessero desiderato riposarsi.
Per un tempo che ora mi sembra infinito ma che fu relativamente breve, ospitai numerosi uomini, chi più saggio chi meno, chi coraggioso e chi vigliacco, chi ricco e chi povero, e da tutti amavo ascoltare qualcosa, così come amavo narrare loro la mia storia; ma mai fui soddisfatto quanto il giorno in cui veramente scoprii cosa fosse il Sapere.
Stavo ospitando in casa mia un giovane, che spesso e volentieri mi poneva delle domande alle quali, gradendo moltissimo il suo comportamento, rispondevo sempre, fino a quando egli, con aria innocente, disse: «O signore, è notevole la vostra saggezza, ma voi negate sempre che questo vi renda savio; avete innumerevoli conoscenze, siete sempre gentile col prossimo, eppure non vi reputate un saggio. Cos’è dunque ciò a cui aspirate che vi possa rendere tale? »
In quel momento ebbi l’illuminazione, era finalmente chiaro, si concludeva lì il circolo; fiero delle mie idee, risposi con vigorosa gioia al ragazzo: «Ebbene la saggezza risiede in ciò che ho appena fatto e che sto per fare, mio giovane ospite: consiste nel tramandare tutta questa sapienza a te, che hai ancora una vita davanti. Così come non è il destino a guidare la nostra vita, ma è il solo sapere a illuminare il percorso, così come la saggezza non risiede nella conoscenza ma nell’apprendimento, così il vero Sapere sta nel comunicare e nel ragionare, non c’è nient’altro che può rendere un uomo un saggio se non il suo insegnamento e il suo dialogare: non c’è sola passività nell’apprendere così non c’è solo attività nell’insegnare. »

Penso che a questo punto sia inutile continuare il racconto per filo e per segno, in quanto ora sapete che io sono solo un vivace studente che ha finalmente capito che solo tramandando questa storia poteva placare l’erosione che lo aveva spinto nel suo viaggio.
Ora sapete come un saggio non è altro che un uomo come tutti voi che, forte delle sue conoscenze, si è aperto al mondo, ed è per questo che io scrivo. Ora scoprite, come io ho scoperto, che il Sapiente che io cercavo dalla mia nascita non era altro che me stesso al momento della mia fine.
Abbiate fede in voi stessi.

domenica 15 febbraio 2009

San Valentino

Simpatica, veramente simpatica come festa. La festa dell'amore, dei cuori in vetrina, delle scatole di cioccolatini e dei mazzi di fiori, della sorpresa romantica al mattino e la cenetta al lume di candela la sera, delle passeggiate per i viali, per stare soli e romanticamente uniti.
Il problema è che qualcuno ancora ci crede a questa favoletta, come d'altronde si crede anche ai film, ma questa è un'altra storia.
Vediamola sinceramente: è la ricorrenza dell'ipocrisia e la sagra del consumismo, una crudele realtà e una triste cupidigia mascherate sotto forma di un bel sentimento; e anche tante belle parole, cari "ti amo" di dubbia sincerità, baci futili. Il che non darebbe fastidio a nessuno, se almeno si evitasse di celebrare il tutto come il culmine dell'amore, dei sentimenti. Regali a tutta birra per farsela dare dalla propria fidanzata.
La festa dell'amore, quello vero, è tutti i giorni, stupida ricorrenza canonica. Come se l'amore si misurasse in gradi, poi.
Fatevi un favore, evitate di prendervi in giro. Anche perchè, senza troppa crudeltà, il giorno di San Valentino potrebbe concludersi in un semplice dialogo.

Lui (Va a casa della sua lei): Ciao amore.
Lei (Baciandolo): Ciao.
Lui: Ti ho portato dei fiori.
Lei: Grazie.
Lui: E anche una scatola di baci perugina!
Lei: Buoni.
Lui: Sono contento che ti piacciano...
Lei: ...
Lui: Senti, lo facciamo qui o in camera da letto?.

Auguri, per ieri.