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Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

lunedì 13 agosto 2018

Il Nero

Certe volte ti ritrovi di fronte a uno schermo, e non puoi far altro che smettere di sostenere tutto quello che c'è di falso nella tua vita. Devi smetterla con quegli ideali di persona sana e matura che fai finta di essere, e vedere che alla fine dentro di te c'è quel nero che hai sempre voluto nascondere. Probabilmente hai passato una vita a celare il nero dentro un sorriso, un messaggio di cui non eri proprio convinto, un ti amo detto con la voce tremolante, un rimandare a domani, un domani che non arriverà mai.
C'è quel momento in cui, di fronte allo schermo, ti rendi conto che è davvero difficile continuare a mentire su quel nero, ed è allora che ti si posa davanti agli occhi. In fin dei conti non fa neanche troppo male, è solamente quello che sei. Per quanto tempo hai mentito a te stesso? Continui a raccontarti che c'è qualcosa che non va, un trauma da piccolo, una costellazione che non si è mai allineata, l'amore che non hai mai ricevuto, ma alla fine lo sai: sei soltanto tu. Ogni altra parola è superflua. Sei tu.
E' così che il nero ti si presenta, non è un nemico, anzi, è una liberazione. Sei tu. Sei tu quando rinunci a quel piano, ti cedono le gambe e non trovi la forza di andare avanti, potresti anche piangere, anche se lo sai che piangere non serve. Quando bevi un altro bicchiere facendoti un po' schifo.
Il nero fa male, ma fa più male sapere che non se ne andrà mai. Non del tutto. Nessuno può rinunciare davvero a se stesso.
Sarà un altro giorno, domani, e forse sarà più facile sostenerlo. Forse no. Alla fine, quello che conta è sapere che almeno quel nero, ecco, quel nero non ti abbandonerà mai.
Quel nero sei tu. Il nero non giudica, il nero non fa distinzioni.

lunedì 17 marzo 2014

Col senno di pois


Col senno di poi, ti accorgi che non rimangono l'odio e la rabbia che avevi messo da parte con tanta cura e per lungo tempo, ma si rintanano, sbiadiscono per fare spazio a un rammarico laconico, semplice, che cambia la prospettiva.
Ad esempio, pensi che hai sbagliato. Nella tua mente, un'ipotesi del genere non ha mai avuto neanche un briciolo di considerazione, eppure è lì che con noncuranza bussa alla porta, così palese da non darti neanche la forza di controbattere.
Hai sbagliato, pensi. Rifletti, sempre ad esempio, sulla tua passione per la discussione, per quel ruvido gusto per il litigio che hai innato; come un macigno sullo stomaco, sai che è lì, e non si leverà da solo. Ma non hai la forza per muoverlo, è così semplice e complicato allo stesso tempo. Ma in fin dei conti, te lo ricordi? Stai pensando col senno di poi. E' sempre semplice.
Pensi che ti sarebbe bastato il dolore che hai provato per dimenticare. Invece, hai sbagliato anche qui. Rimane solo quel cuscino vuoto, la sera, che guardi con indifferenza. Un cuscino che non significa più nulla, eppure nel profondo ti suscita ancora qualcosa. Dov'è il dolore che avrebbe dovuto darti una mano? Anche lui è scappato, alla faccia.
Sei finalmente tranquillo, e pensi. Pensi ai problemi che non c'erano, ma di cui discutevi, e a quelli che c'erano, ma di cui non parlavi mai. Cerchi un capro espiatorio, ma nessun Malaussène è disposto a prendersi il peso. Ti domandi cosa sia davvero la felicità, e a cosa si è disposti a rinunciare pur di averla. A volte si rinuncia alla felicità per la felicità stessa, ma non funziona così. Te ne rendi conto, col senno del poi.
Ad esempio, poi, pensi anche al fatto che tu abbia mentito. Mentivi per poter discutere con chi mentiva. Ironico, lapidario. Un circolo vizioso che, senza neanche dirlo, col senno del poi, sai benissimo dove ti ha portato.
Davvero, hai sbagliato e non l'hai ammesso, cosa ti potevi dunque aspettare dall'altra parte? Niente, è la risposta. Ma eri convinto, e il senno come sempre ti ha riportato alla realtà.
Non hai creduto, ma avresti dovuto. Perché non eri tu quello che cantava "lo sanno a memoria il diritto divino, ma scordano sempre il perdono"? Dov'è finita la tua fiducia? Si è rotta, certo, e ti sei accontentato così. Perché era tutto un gioco, un gioco senza vincitori, una gara con due argenti.
Sei dispiaciuto, ma hai pensato abbastanza. Riaccendi lo stereo, e la radio, precisa come un orologio svizzero, rilancia con "Enjoy the Silence". Allora, stiamo zitti, e andiamo avanti, con quel rammarico che rintocca incessante nella tua testa, come un metronomo della ragione. Ma facile a dirsi, tutto questo, col senno di poi.



sabato 26 ottobre 2013

Come nel buio

È come quando ti ritrovi nel buio. Hai presente quella sensazione? Sì, il perdere ogni punto di riferimento, il non sapere dove rivolgere lo sguardo, le pupille che si dilatano per inglobare l'oscurità dentro gli occhi. Ecco, così. Non so dove guardare. Mi sento un po' strano, mi giro a destra, poi a sinistra, ma non vedo altro che nero. Come quando da bambino tieni stretta la mano della persona di cui ti fidi, la senti scivolare e, nel mare di gente, ti ritrovi solo, sperduto. Un puntino che a poco a poco si dissolve nell'umanità. L'ansia sale, simile a un tossicodipendente affannato al pensiero della sua roba. Senza respiro, ecco, sì, mi manca l'aria. Capisci ora?
Sono attonito, spaventato, lo sei anche tu d'altronde. Dove sto andando? Dove stiamo andando? I passi sono pesanti ma nell'ombra non sai in che direzione vadano. A destra forse, a sinistra. Forse sto solo tornando indietro. Ti rendi conto? Neanche questo riconosco più. Credo che mi girerò, sì. Ma è inutile, non so verso dove. Non c'è molto da fare, me ne rendo conto. Allora faremo così: tu rimani qui, aspetta, ascoltami in lontananza. Io vado dritto, proseguo. Non so dove mi porteranno le mie gambe, magari di nuovo qui. Ci ritroveremo. O forse vado per il sentiero giusto, e allora non ci incontreremo, mia cara angoscia. A dopo, addio.

sabato 14 aprile 2012

Nell'orrore

Un antro buio e tetro, dove la luce del sole ha abbandonato la speranza di illuminare l'animo molti secoli prima, rischiarato a malapena dalla luce soffusa di un fiammifero, mostra ai miei occhi solo i bordi confusi della roccia. Un corridoio scavato nel cuore della terra, senza punti di riferimento o indicazioni, dove la scura realtà prende il sopravvento. Me ne rendo conto da solo, la fiamma si sta consumando e ho quasi finito i fiammiferi nella scatola. Sò che non uscirò mai di qui. Non so nemmeno come mi ci sono ritrovato, pensavo, sognavo, e tutto ad un tratto ero perso. Abbandonato qui sotto, lontano dall'umanità, finalmente e perdutamente solo. Sono stanco, esausto, e ora sento l'adrenalina che mi circola nel corpo lasciare il passo all'esasperazione, il panico cedere posto alla stanchezza. I piedi, le gambe, tutto mi formicola mentre la nebbia rende ancora più annebbiata la vista di per se sbiadita. I pensieri che avevo, le domande che mi ponevo, sembrano essere scialuppe alla deriva nel vasto oceano, dirette verso mete lontane che non raggiungeranno mai. La fede non aiuta a un passo dalla fine, anche perché io di fede non ne ho mai avuta. Non cerco un Dio che possa aiutarmi, e ora neanche il mio corpo lo desidera più. In realtà, non cerca più niente, mente e corpo divengono un tutt'uno, un emblema di disillusione che arranca passo dopo passo, conquistando qualche metro in questa grotta, nella vana speranza di raggiungere l'uscita. Accendo l'ultimo fiammifero, e ripongo la scatolina esausta per terra, come a segnare la mia presenza, a delimitare un pezzo di esistenza che appartiene a me, anche se per poco ancora. Ora il sangue smette anch'esso di aver fiducia e rallenta, poi accelera di nuovo per rallentare ancora, anche il cuore è confuso, prova a fare quel che può, ma non è abbastanza, non sarà mai abbastanza, non lo è mai stato. Questo la mia mente pensa, almeno. C'è un bivio, in questo tunnel, ed è l'ultima cosa che riesco a vedere prima che la fioca luce si spenga per sempre. Una parvenza di scelta, ecco quale sarà l'ultima immagine che vedrò. E così, scelgo, continuo a proseguire, ma le forze sono giunte alla loro fine e se la speranza è l'ultima a morire, beh, è giunto il momento che anche lei spiri. Non sento più le gambe. Mi accascio. Non ho più la voglia e il coraggio di pensare. Finalmente. Addio.

domenica 8 aprile 2012

Priorità invertite

Ultimamente mi è sorto un pensiero, una rivalutazione del modo di vivere odierno, un'abitudine abbastanza comune nella mia generazione, e anche in me ovviamente, che mi sta scervellando da un po'.
Siamo soliti attribuire un'importanza colossale alle relazioni interpersonali, alle storie di, se così si può chiamare, amore, mentre scende in secondo piano, come un dettaglio dell'esistenza, argomenti di interesse collettivo, come la politica e la società.
Non sono esule da questo comportamento, come i post precedenti possono testimoniare, però in fin dei conti mi sembra giusto spendere due minuti su sta cosa.

Mi sembra che tutto vada al contrario. Ci sono cose che meriterebbero un'attenzione profonda, una passione personale non indifferente, perché se la gente non ha più il denaro per arrivare a fine del mese, non si tratta di uno slogan da primarie ma di un problema reale, che influisce tutti noi e degrada la nostra qualità di vita. Se ci sono persone senza lavoro, dovremmo aver paura per il nostro futuro, tanto più se in ciò che è messo a rischio rientra anche l'istruzione. Possibile che non siamo capaci di vedere l'importanza, l'enorme importanza dell'insegnamento, della formazione di una nuova generazione? Che poi, noi stessi siamo quella generazione, quindi dovremmo incazzarci parecchio. Eppure sembra sempre un problema così marginale, lasciato ai quattro collettivi sparsi per gli atenei o nelle sedi di qualche gruppo neofascista, mentre lo studente medio lascia che sia il mondo a decidere per lui (non è tipo il contrario della democrazia, ora che mi ci fate pensare?).

D'altra parte, di fronte a questa risma di problemi, di cui ognuno meriterebbe decine di articoli di discussione e non è questo il luogo giusto per farlo, né tantomeno è l'obiettivo di questo post, ecco, dall'altra parte ci sono i problemi individuali di natura sentimentale. Ho visto, e vissuto, una quantità di seghe mentali dietro a delle questioni di una facilità e naturalezza imbarazzanti (ehi, mi piace quella ragazza!)  che mi portano a credere che ci sia una sorta di inversione delle priorità.

Non riusciamo, probabilmente, a vedere argomenti importanti per quello che sono, mentre il nostro animo viene costantemente pressato, in maniera masochista, da pensieri peggiori della realtà su quello che "dice il cuore". Istintivamente siamo portati a vedere l'evoluzione dei nostri rapporti come una faccenda naturale, eppure ogni volta si ricorre a una pesante analisi psicologica interiore, a discorsi molto seri, in cui si parla del nostro cuore come se si stesse parlando dei massimi sistemi. Mi sembra quasi che ci sia il desiderio di aggravare, di rendere più complicato, ciò che proviamo.

Beh, non credo debba essere così. Credo proprio che sia la società odierna che ci ha catapultato in un mondo dove cose belle e raggianti, come l'amore, l'amicizia, i sentimenti vengano analizzati sempre e solo col metro della paura e dell'orgoglio, come se le nostre emozioni ci categorizzassero in realizzati e non, in persone migliori, meglio dell'altro, meglio di lui, meglio di questo e quest'altro, io sono meglio di te.

Non sono forse le stesse canzoni ad essere ormai sempre più concentrate, terribilmente concentrate, su storie di infatuazioni da quattro soldi, vicende della vita quotidiana che poi in realtà, influiscono sulla nostra vita solo perché siamo noi a dargli tutto questo peso?

Ripenso agli anni 60. Agli anni 70. Il mondo pareva veramente essere diverso, la musica era diversa, probabilmente quindi anche le priorità. E mi sorge un dubbio.
Che la dottrina capitalista, individualista che si è evoluta mano a mano e ha preso piede nel mondo, non sia riuscita solo a distruggere la vita economica delle persone, ma anche il cuore delle ultime generazioni? E' stata capace di distoglierci dalla realtà, dalla vità, dalla felicità, indottrinandoci verso una visione cinematografica dei rapporti interpersonali, chiudendoci nelle maschere stereotipate dell'uomo di successo e della donna in carriera.

Vorrei tornare quindi a godermi la vita come quello che è, con semplicità, tranquillità e abbandonando tutte le seghe mentali, i pianti indotti che caratterizzano questi ultimi decenni, sostituendoli con allegria e ilarità, perché probabilmente, non stiamo più capendo un cazzo se c'è più gente che piange per Simoncelli che per Arrigoni.

(P.S: Questo è il mio centesimo post. Auguri!)



sabato 7 aprile 2012

La filosofia del Poster

Ogni adolescente, post-adolescente o studente universitario che si rispetti ha nel suo bagaglio culturale un elemento imprescindibile dal suo status: una manciata di artisti, ideali, canzoni, insomma tutta quella roba dal forte valore astratto del quale uno rimane inevitabilmente colpito nel corso della propria maturazione.
Normalmente quindi le camere di noi tutti presentano pareti cosparse di poster atti a trasmettere visivamente, rapidamente queste nostre passioni. Sono grossi, colorati, questi poster, e sembrano quasi dire "Ehi, se non ti piace questa roba probabilmente stai offendendo il mio essere", cioè non sono come i quadri degli ultraquarantenni, messi lì perché "fa figo", "è un regalo della nonna", "l'ho portato dalla casa al mare", no, sono proprio dei chiari messaggi che delimitano il confine fra amici, conoscenti e gente che ci sta sul cazzo quasi come gli alieni invasori di Independence Day.

Nel caso degli studenti universitari fuori sede il poster presenta inoltre una funzione nostalgica, quasi sempre accompagnato dall'elemento calendario, magari personalizzato, foto del cane lasciato "a casa, quella vera", o della donna (non come quello della nonna che c'ha tutti i santi dell'anno e nel paginone centrale un omaggio a padre pio).
Ci sono quei poster attaccati alla parete che ricordano quel concerto fantastico a cui lo studente ha partecipato magari a quattordici anni, urlando a squarciagola frasi in inglese maccheronico, ma non c'era problema perché quelli attorno non capivano comunque l'inglese e i testi, insomma, non è che li sai sempre tutti, ogni tanto capita di sbagliare, in pratica quel concerto in cui sei riuscito a cantare in Klingon senza farti sgamare. Parecchio felice come cosa, ripensandoci.

Non mancano inoltre i poster di gruppi musicali in generale, perché ovviamente al concerto dei Pink Floyd non ci puoi essere andato, però ti sei visto il video rimasterizzato in full hd che si vedono pure le gocce di sudore, giuro che quando lo vedi è come stare lì, poi a casa papà c'ha il dolby surround ed è tutta un'altra storia, che figo che è Syd Barrett.
Spesso questo genere di paginoni sono affiancati dalla discografia (su numerosi CD, masterizzati o meno, ma l'importante è che pure se sono pirata sei stato le notti a cercare e stampare la copertina, per poi rifilarla col taglierino e metterla nella custodia, roba che manco la SIAE te lo sgama), e i più puristi hanno pure qualche vinile qua e là. 33 giri corrosi che non si sentono neanche se li mandi all'Accademia delle Belle Arti per restaurarli, però fanno scena e te l'ha regalati tuo zio, quello ribelle.

Dall'altra parte della categoria dei  poster artistici ci sono quelli dedicati ai film, che danno libero sfogo alla passione per i cult che accomuna l'universitario medio (lo so che la volete tutti la locandina di Pulp Fiction o quella di Inception). E' prassi consolidata infatti vantarsi con gli amici, magari quelli meno cinefili, di aver visto quel film e di averlo reputato un capolavoro, cioè dai Di Caprio in Titanic era solo un belloccio però vuoi mettere in Shutter Island, è diventato un mostro di bravura, è pure primo nella classifica del videonoleggio su iTunes e su IMDB manca poco che entra nella top 100.

Una piccola postilla: è raro trovare poster di attori maschili in camere di studenti maschili, per ovvi motivi di eterosessualità: in caso lo studente non sia eterosessuale, non è comune comunque perché i poster degli attori fanno schifo in ogni caso.

Degni di nota sono inoltre gigantografie varie, eroi fumettistici, collezioni di quei cosi per poggiare la birra che ora non mi ricordo come si chiamano, cartoline dal mondo, magari degli zii in Australia, le innumerevoli foto a busto intero dei calciatori, le foto della squadra del cuore, il capitano che, anche se gioca male, è comunque il pupone non è che puoi toglierlo ma dai Enrique c'ha un piano a lunga scadenza che ne sai te.

In fin dei conti, anche questi dettagli dicono qualcosa sulla nostra personalità. E' bello pensare che ovunque vai, in qualsiasi camera entrerai, ci saranno delle pareti a parlare per l'inquilino. A meno che non sia un inquilino molto, molto triste, in quel caso non vedo perché dovresti visitarne la casa. Tutto torna.
Siamo ciò che ci piace? Non lo so. Però a me piace la birra, quindi vedrò di rimediarmi un poster della Guinness, che quello mi manca.


martedì 6 dicembre 2011

Panta Rei, Zen!

L'ultima volta scrissi che la vita cambia, ma è lenta a farlo. Beh, quel periodo di stasi è finito, concluso, e si chiudono alle mie spalle tante porte della monotonia, della tranquillità esistenziale che fino a poco tempo fa avrei creduto inviolabili, o quantomeno inviolabili fino ad oggi.

La cosa più strana dei cambiamenti è che sono ostici per natura, e io lo so bene. Sin da piccolo odiavo tutti i piatti che mi venivano proposti a tavola se non erano le mie pietre sacre dell'appetito, come i bastoncini findus o le meravigliose uova al tegamino; oltremodo poi detestavo i "miscugli culinari", sughi troppo complessi, e così via.
Per quanto poi io abbia cominciato a mangiare come un normale essere umano, comunque quell'atteggiamento me lo sono sentito spesso dentro e, per quanto uno ci lotti contro, comunque causa paura, spavento.
L'unica arma contro l'ostilità al Panta Rei che io abbia mai conosciuto è, ironicamente, la filosofia Zen, tanto semplice quanto efficace. La strategia di sfruttare la forza che ti viene incontro come una debolezza dell'avversario, indirizzarla per fare ciò che tu vuoi; è qualcosa di incredibilmente concreto per quanto possano sembrare solo parole: ti permette di risolvere situazioni ingarbugliate e di accettare la vita con un ottimismo invidiabile, il più delle volte.

Ora invece mi ritrovo trascinato da un torrente in piena. Probabilmente dovrei pensare che mi porterà verso una ridente vallata, ma ho sempre la sensazione che alla fine del viaggio ci sia una fottuta cascata. Stavolta dovrò crederci davvero, nello Zen.