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Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

mercoledì 14 maggio 2008

Malati al Quarzo

Sul balcone regnavano incontrastate le innumerevoli piante di Frank, con le foglie bagnate dalla riugiada che poco a poco scivolava sulle venature e abbeverava gli esemplari delle più remote specie floreali. Nel frattempo le api se ne tenevano a debita distanza, spaventate da un oggetto africano, regalato da Ed all'amico come ringraziamento per l'ospitalità.
Il ronzio delle ali era distante e ora prevaleva il sottofondo musicale Jazz scelto dallo spirito, giusto per ricordare che nella sua cultura rientravano anche nozioni melodiche.
I raggi si facevano sempre più forti e si infrangevano contro la vernice bianca degli esterni e sulla flora, dove la clorofilla ringraziava fischiettando un motivetto molto colorito: luce e acqua, anche quel giorno il francese non si sarebbe dovuto preoccupare della salute della sua piccola serra.
Tuttavia non erano quelli i problemi a cui pensava quella mattina; sdraiato sulla sua amaca, cercava invano di distogliere la sua attenzione dalla chiarezza con cui ormai vedeva le cose.
Nulla gli pareva più complicato, le immagini erano sempre limpide e cristalline, le persone erano così comprensibili, tuttavia si domandava come tutto ciò, chiaro e trasparente, gli potesse essere così difficile da accettare. "Ti abituerai. Immagino che, come qualsiasi sensazione, prima o poi passerà." Rispondeva sempre Edgard.
Poco dopo, in accappatoio, Frank sceglieva nel suo enorme e spaziosissimo armadio della camera da letto quali vestiti indossare per uscire quella mattina. I blue jeans erano una scelta tanto scontata quanto perfetta, quindi per la parte inferiore non aveva dubbi. Nella crociata fra T-Shirts e camicie le ultime prevalsero nel nome del signore dei bottoni, così fu presa una camicia celeste dall'apposito cassetto. Dopo un rapido sguardo alla finestra, constatato il dominio del sole, il francese parteggiò per una giornata senza giacche o felpe, mentre completò il tutto con un paio di Converse estive e leggere.
Lo spirito chiuse la porta alle spalle del francese che si avviava giù per le scale. "Amo scendere dal quarto piano, ma quando ho comprato la TV al plasma, i miei muscoli avrebbero tanto voluto un ascensore." Disse una volta il suo vicino del piano. Al piano terra numerosi quotidiani imploravano di essere letti pur di non essere macerati, ma quella mattina Frank aveva già letto. E poi è tutto così banale sui giornali.
Il venticello che soffiava per il boulevard non gli impedì di accendersi una sigaretta. Ed non tollerava che il suo coinquilino fumasse, non per i danni alla salute, piuttosto perchè riteneva che il fumo creasse interferenze durante i loro dialoghi.
A piedi si diresse verso la via dove lavorava. Frank aveva un negozio di orologi, ereditato dal padre, pieno di vecchi cimeli di notevole valore, strumenti paleocristiani, pendoli della prima guerra mondiale e rolex cinesi, venduti a caro prezzo a qualche aristocratico troppo fiero di se.
I suoi dipendenti lo chiamavano "Zurich" per la precisione con cui lavorava e per riderne pensando al nome-ossimoro "Frank Zurich".
Apriva personalmente il negozio ogni mattina, e nessuno poteva entrare se lui non dava il permesso. Si occupava personalmente dei pazienti più complicati e, dotato di bisturi e pinzette, rimetteva a nuovo anche gli orologi più disperati.
Quel giorno però il suo lavoro gli sembrava più facile, illuminato da una nuova lampadina nel suo cervello. In quel momento però avrebbe preferito avere un faro. Il buio più totale calò sulla città, mentre dei suoni minacciosi uscivano dal suo negozio: rapidamente, prese le chiavi, si tuffò sul lucchetto e lo aprì in un istante. In un attimo fu dentro dove una luce fioca illuminava un orologio sul tavolo di vetro. A passo lento si avvicinò, guardandosi intorno: non c'era nessuno. Era a un metro dal meccanismo a lancette, quando da lì partì un colpo di pistola che gli trafisse il cranio.
Frank Zurich tirava su lentamente la serranda, ammirando il sole alto nel cielo, con l'animo sconvolto.
Pochi minuti dopo i primi clienti passavano a ritirare i loro malati al quarzo, ignari e felici.

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