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Minacce di VitaBuonasera, caro lettore o lettrice che perdi tempo su questo blog. Sarò sincero, devo ammettere che qui c'è veramente di tutto, da riflessioni esistenziali a invettive contro il sistema, dai cuori spezzati ai racconti più fantasiosi che io abbia mai scritto. In ogni caso, tutto questo sono io. Sotto tante facce. Potrei persino risultarti simpatico o tenero, ma la realtà è che, purtroppo, non me ne frega niente. Sono cinico, un pò stronzo, fedele solo alla mia morale, e non bado alla tua analisi psicologica. Non confondere la mia spiritualità e curiosità. Leggi e basta, sennò che diavolo di lettore saresti. Buona perdita di tempo.

giovedì 22 gennaio 2009

Il Manager

Sempre la solita storia
Capitolo III
"Il Manager"

Il laghetto artificiale al centro dell'Urcwesser Park rifletteva i flebili ma caldi raggi di luce, provocando dei magnifici e rifulgenti riflessi dorati sullo specchio d'acqua. A quest'ora il sole era ben più caldo rispetto all'alba, mentre i lavoratori londinesi, ormai in ritardo, si affrettavano a raggiungere i loro uffici, pronti a subire un'altra ramanzina da parte del direttore; come ogni mattina, d'altronde.
Le fronde degli alberi ondeggiavano come cullate dal vento, il quale provvedeva anche a sorreggere in volo i numerosi uccelli migratori e a colpire con freddo vigore i volti dei passanti, senza badare al colore della pelle o ai gioielli esibiti. Per quanto fosse estate, il vento sembrava deciso a rimanere e a turbare la città ancora a lungo: misterioso veniva al mattino, cresceva, si intensificava, fino a dissolversi con i primi accenni di tramonto; era quasi piacevole per Tom passeggiare per il parco, osservare i prati che gradualmente venivano popolati da giovani ragazzi e anziane coppie, mentre i viottoli si riempivano di biciclette e atleti improvvisati.
Fra il piacevole sospiro del sollievo quotidiano e l'angosciante incombere delle folate fredde, tuttavia, fu quest'ultimo a prevalere nell'animo del detective: ogni dieci passi girava la sua testa e aguzzava la vista in cerca di qualcosa o qualcuno, fino a quando non lo vide in lontananza: si trovava sotto una vecchia quercia, intento a parlare al cellulare.
Accelerò il passo e con discrezione salì la via che portava al giardino superiore, oltrepassò la siepe e lo raggiunse alle spalle; aspettò che si fosse seduto per salutarlo, ma l'uomo lo anticipò.
- Ciao Tom. Mi sei mancato sai? - disse con voce flebile.
- Anche tu Eric, sì, certo - rispose con tono indeciso l'investigatore.
- È tanto che non ti fai vedere. Credevo quasi che fossimo destinati a non rivederci più. Mai più. Ma non mi hai deluso, sei tornato, sei qui ora - rispose energicamente Eric - ma adesso mi domando cosa ci fai, in questo luogo. Non sono più così stolto da non capire che c'è sotto qualcosa, qualcosa di troppo grande e inquietante, e coì sei venuto da me, eh? -
- Ecco, sì. È esatto - rispose Tom.
- Bene, benissimo! Te ne vai, mi lasci qui nei casini, con una camicia sporca di sangue, senza un dannato dollaro per comprarmi un panino, e pensi di poter tornare qui, darmi una calorosa stretta di mano e reiniziare tutto come prima? È questo quello che pensi? Che vuoi, o meglio, che vorresti? - urlò gracidamente Eric, sempre più sconvolto.
- No, non come prima. Qualcosa è cambiato: i personaggi della favola. Ora sono otto, sono stranieri e non abbiamo una benchè minima traccia del loro passato. C'è solo sangue in queste - disse Lankster passando le foto all'amico - eppure sono l'unico indizio. Questa volta non c'è l'uscita di emergenza, Eric. -
- Uscita di emergenza? Usi sempre questa parola così bella per descrivere la tua fuga da una stanza con quattro cadaveri, mentre il tuo migliore amico è svenuto sul pavimento? - disse sarcasticamente ma con terrore l'amico.
- Non c'è tempo per ricordare il passato. Tieni - disse l'investigatore, sempre più agitato, mentre lasciava una delle sette foto nelle mani di Eric - questa è la foto di Pierovic Kadroin. Prendi la metro per andarci, prendi tutte le informazioni che puoi, tu sai quali mi interessano. -
Lankster tacque per qualche secondo, riprese fiato e ebbe tempo per riflettere.
- Scusami - disse Tom con crudele sincerità - hai ragione. Sono stato via per troppo tempo, forse ho fatto la scelta sbagliata. E ne sto pagando le conseguenze. E ora mi aiuterai a pagarle. -
- Ho paura, ma lo farò. Non ho altro da dirti - rispose Eric, mettendo via la polaroid e il cellulare nella sua giacca da vero manager londinese.
Rimasero entrambi in silenzio per un poco, poi con un cenno si salutarono, senza aprir bocca.
Tom rimase sotto la quercia, mentre l'amico, il businessman che ormai era al suo servizio, se ne andava con passo furioso verso l'uscita est del parco.
Quanto aveva condiviso con quell'uomo e quanto ancora avrebbe dovuto sopportare, verso l'ignoto punto di fuga della prospettiva della sua vita.
Cominciò a piovere e le gocce del temporale, così possenti e impetuose, creavano piccoli tamburi ovunque, mentre il lago si tramutava in un'enorme grancassa armonica; e così, con passo malinconico e nostalgico, si diresse verso il cancello Nord, solo e turbato.

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